Mondo scrittura: sfoltire, arricchire, tagliare un testo mediante la sua revisione.


Per la rubrica Mondo scrittura proponiamo oggi un articolo della nostra collaboratrice e autrice Cristina M. Cavaliere che ci parla del processo di revisione del romanzo.

Per pura coincidenza alcuni amici che amano scrivere, e io stessa, ci troviamo oggi nel momento in cui si è terminata la prima stesura di un romanzo e abbiamo intrapreso una delle fasi più impegnative e faticose del processo di scrittura: la revisione, e di questo vorrei parlare nel post. Il vocabolario Treccani non ci suggerisce, dell’etimologia e del significato generale, niente più di quello che possiamo intuire da soli: reviṡióne s. f. [dal lat. tardo revisio -onis, der. di revidere «rivedere»]. – Nuovo esame inteso ad accertare e a controllare, ed eventualmente a correggere o a modificare, i risultati e le valutazioni dell’esame già operato, oppure la situazione iniziale o precedente.

Che cos’è dunque una revisione a livello letterario?

Il sarto di Giovanni Battista Moroni
(1570-75) Londra, National Gallery
http://www.nationalgallery.org.uk/
Come il buon sarto, anche lo scrittore
deve prepararsi a tagliare nei punti giusti.
Molti scrittori, specie quelli alle prime armi o che peccano di presunzione, considerano la revisione una fase superflua, e si rifiutano di metter mano una seconda volta a quello che hanno scritto, magari di getto. Se ricevono critiche o consigli, si sentono attaccati in prima persona, e giungono a considerare la cosa come un affronto personale sentendosi i classici “geni incompresi”. È vero invece il contrario: la revisione è un momento cruciale per la buona riuscita di un lavoro letterario da presentare agli altri. Proprio qui risiede la differenza tra uno scritto che abbiamo steso a scopi quasi terapeutici, per dare sfogo a qualche nostra fantasia o forma di sofferenza, e che leggeremo e rileggeremo solo noi, e qualcosa che è destinato anche al prossimo. Il nostro mondo interiore sta per essere svelato a sguardi estranei e, volente o nolente, per farlo abbiamo come nostro unico strumento la parola scritta, una parola che dobbiamo affinare al massimo.

Erroneamente alcuni pensano che la revisione si traduca nel fatto di sostituire una parola con un’altra più adatta, o migliorare qualche frase, migliorare una scena scritta in maniera frettolosa, tagliare un passaggio riuscito male. Per fare un paragone sartoriale, un po’ come limitarsi ad accorciare i fili pendenti, o sostituire un punto venuto storto, quando bisognerebbe invece di prendere il tessuto e rivoltarlo e rinnovarlo da cima a fondo, tagliarlo, sostituire le parti rovinate e… scrollarne il superfluo; poi ben venga anche il lavoro di fino, ma alle volte quella è solamente una parte di contorno.

Rivedere un testo significa innanzitutto rileggerlo, lasciando passare del tempo per riesaminarlo a mente lucida e distaccata, per considerarlo nella sua interezza, e non sprofondati  nel coinvolgimento emotivo della prima stesura o considerandolo come un insieme di parti separate tra loro. Un lavoro letterario è un’entità vivente, e quindi (pur con gli inevitabili difetti perché la perfezione non è di questa terra) bisognerà che ogni suo arto od organo sia ben sviluppato e adempia al compito per cui è stato pensato. Affinché si muova in maniera autonoma, e generi a sua volta altri significati, dovrà quindi possedere una sua indipendenza, e un suo senso intrinseco.
Prima di intraprendere la revisione di un testo, c’è una grande domanda che credo stia alla base di tutto, e che dovremmo porci: “Qual èil tema di fondo della mia storia?” Chiamiamolo leitmotiv, significante, filo conduttore, senso riposto, come preferiamo, è quel qualcosa che tiene insieme tutta la nostra narrazione, e che vogliamo trasmettere al lettore: il disegno che si intuisce sottotraccia, nel tessuto narrativo, il sangue che irrora vene e arterie del nostro organismo, e che si intravede nella trama, nel comportamento nei personaggi, il motivo musicale che ritorna nella partitura, in tutto il corpus dell’opera. Se preferiamo, potremmo anche chiamarlo anima. Raymond Carver dice che “la revisione mi guida progressivamente al centro, verso il vero argomento della storia.” In un altro passaggio, ci dice ancora: “È difficile essere semplici. La lingua dei miei racconti è quella di cui la gente fa comunemente uso, ma al tempo stesso è una prosa che va sottoposta a un duro lavoro prima che risulti trasparente, cristallina. Questa non è una contraddizione in termini. Arrivo a sottoporre un racconto persino a quindici revisioni. A ogni revisione il racconto cambia. Ma non c’è nulla di automatico; si tratta piuttosto di un processo. Scrivere è un processo di rivelazione.”
E potrebbe darsi persino che, nel rileggere quello che abbiamo scritto, comprendiamo d’aver iniziato con un’idea in testa e di essere arrivati ad esprimere tutt’altro. Questo va bene e significa che il lavoro non è qualcosa di inerte, l’importante è capire se questo significato inaspettato può ora applicarsi alla storia così com’è, o se non occorrano aggiustamenti nel tiro per renderla coerente. Se abbiamo le idee chiare su questo, avremo chiarezza anche nel compiere il nostro lavoro di ripasso del testo e capiremo che il tempo speso nell’intervenire non sarà stato vano.
A livello puramente tecnico, invece, si possono distinguere tre momenti nella revisione con armi da calibro pesante, cioè:

 

 

  • sfoltire (o tagliare, se preferite);
  • arricchire (o integrare e ampliare, è lo stesso);
  • spostare

 

e che si possono applicare anche nell’ambito di una porzione ridotta di testo con un lavoro da setaccio fine.

 

 

 

Vediamoli uno ad uno, cominciando dagli interventi svolti con armi da calibro pesante:

 

  • Sfoltire o tagliare. Per molti tagliare parti di testo è un’operazione dolorosa, che però diventa più facile man mano che si acquisisce pratica con la scrittura. In fondo, perché dobbiamo lasciare una scena che non c’entra nulla solo perché “è scritta bene”? Se ne siamo davvero innamorati e se è autosufficiente, potremmo persino recuperarla e ricavarne un racconto. Ancora, perché dovremmo scrivere una scena usando venti righe anziché dieci? Di solito le lungaggini nuocciono al testo e minano la pazienza del lettore. Non parliamo poi delle divagazioni da narratore onnisciente, che si usavano nei romanzi del XIX secolo, e che oggi sono intollerabili. Taglieremo quindi le scene poco funzionali e anche quelle ripetute e il nostro testo ne guadagnerà in tutti i sensi. 
  • Arricchire. Alle volte, invece, è necessaria un’operazione di rimpolpamento nel testo perché manca qualcosa sia per il ritmo che per la comprensione, o alcuni passaggi sono troppo secchi e stentati. Si dovrà quindi aggiungere altre scene, o parti, o momenti descrittivi; usando un’espressione che mi era stata detta da un’editor inglese cui avevo inviato il mio primissimo manoscritto de Il Pittore degli Angeli, offrire “more meat to chew”, più carne da masticare. Il nostro bambino è deboluccio, bisogna fornirgli più nutrimento perché si sviluppi in modo forte e robusto, e riesca a camminare sulle sue gambe, altrimenti non farà molta strada nella vita.
  • Spostare. Gli spostamenti vengono fatti per creare anticipazioni nella storia (i cosiddetti flashforward), e magari preparare per gradi o con qualche accorgimento ad un colpo di scena, oppure per far ritornare i personaggi con la memoria a ricordi del passato (i classici flashback). Entrambi hanno lo scopo di movimentare il tempo lineare nella narrazione, e renderlo meno piatto e sequenziale. Tuttavia bisogna tenere sotto controllo il tutto con l’aiuto di una sinossi dettagliata delle scene o una mappatura per non rischiare di inserire incongruenze, o sciupare l’effetto con qualche rivelazione di troppo. 



La merlettaia di Johannes Vermeer  (1669-71)
Museo del Louvre, Parigi – http://www.louvre.fr/
Un romanzo è esattamente
come un merletto o un tessuto.
La revisione a setaccio fine si attua quando avremo operato gli interventi di cui sopra, e saremo soddisfatti del risultato complessivo. Si provvederà quindi a tagliare l’eccesso per rendere più incisiva la frase (l’aggettivo di troppo, l’avverbio che rallenta, il concetto ripetuto ecc.) o arricchire (aggiungere un passaggio per precisare meglio o migliorare una descrizione ecc.) o spostare (anticipare un paragrafo o posticiparlo può fare la differenza in termini di chiarezza).
 
Ci sarebbe molto altro da dire sulla fase di revisione, come ad esempio la rilettura a seconda del “punto di vista” del personaggio o un approfondimento della revisione a setaccio fine, che magari formeranno l’oggetto di altri post; tuttavia questo articolo intende solo offrire, come sempre, solo qualche spunto di riflessione generale per cominciare a parlarne insieme.
 
Quali sono i vostri metodi in fase di revisione e sulla base della vostra esperienza? E in quali passaggi della revisione riscontrate più difficoltà? 


Dal blog Il Manoscritto del Cavaliere

http://www.lulu.com/shop/cristina-m-cavaliere/la-colomba-e-i-leoni-libro-i-la-terra-del-tramonto/ebook/product-21336338.htmlhttp://www.lulu.com/shop/cristina-m-cavaliere/il-pittore-degli-angeli/ebook/product-20923294.html

8 commenti

  1. Adoro revisionare… 😀 Buonasera Isabel!
    Federica Leva

  2. Articolo molto interessante. Si apprende il valore della revisione solo facendola. Per me, ora, la revisione è la parte più attesa dello scrivere.
    Renato Mite

  3. Anche per me è la parte più attesa dello scrivere, non fosse altro perché sta a significare che si è finalmente scritto 😀 Battute a parte, la trovo il momento più soddisfacente: come uno scultore perfeziona i dettagli della sua opera con lo scalpellino, così lo scritto prende forma sotto i nostri occhi, smussando, migliorando, fino ad assomigliare a quanto avevamo in testa. E questa discrepanza è la nostra tortura che ci porterebbe alla "revisione perpetua". (Almeno così è per me. Anche purtroppo, a un certo punto di ossessione da insoddisfazione).

  4. +Isabel Giustiniani hai ragione, è sorprendente quanto la revisione coinvolge e soddisfa. Si può migliorare all'infinito e restare comunque con l'imperfezione, ma una certa imperfezione è caratteristica dell'essenza umana, e con il mio primo libro ho imparato proprio questo: l'imperfezione caratterizza un libro come caratterizza le persone. In fondo è l'imperfezione a farci sentire umani, bisogna solo riconoscere il momento in cui il libro è abbastanza perfetto da poterlo tramandare e allora terminare la revisione. ;-)
    Renato Mite

  5. Concordo. Mi torna in mente una vignetta bellissima in cui una scrittrice veniva portata via a forza da due amici mentre cercava di propendersi verso il proprio manoscritto urlando:"Un'ultima volta! Vi prego, fatemelo rileggere solo un'ultima volta!" Credo che la scena rendesse bene il concetto 😉

  6. Buon pomeriggio, concordo con tutte le opinioni dei commentatori, anche se per me il momento più bello è senza dubbio quello della prima stesura. Isabel, a me viene in mente Manzoni che rincorreva il tipografo per fare le ultime modifiche sulla stampa de "I Promessi Sposi", cose tipo una virgola o un apostrofo per dire. E non dimentichiamo che ha continuato a scrivere e riscrivere questo suo romanzo nel corso di vent'anni! 🙂

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