Sinossi:
Bisanzio e la guerra, un binomio inscindibile. Se togliamo la grande stagione del periodo giustinianeo (metà del VI secolo), quando l’Impero Romano d’Oriente ebbe una fase militare espansiva, possiamo affermare che dal VII al X secolo Bisanzio dovette combattere per la sua stessa esistenza. Solamente durante la seconda metà del X secolo, con l’avvento della dinastia Macedone, l’Impero di Costantinopoli poté tornare finalmente protagonista nell’area geopolitica mediorientale. Vi furono tre Imperatori soldato che cambiarono le sorti dell’antico Impero d’Oriente e che portarono risultati militari davvero notevoli. Gran parte delle vittorie avvenne contro i nemici di sempre, gli Arabi e i Bulgari. I primi, specialmente, furono vittime di una lunga guerra di posizione che terminò con la riconquista bizantina di ampi territori, un tempo già soggetti all’Impero di Roma e della stessa Bisanzio poi.
Questo clima marziale portò a dei cambiamenti sociali e politici all’interno della Basileia. Come diretta conseguenza del perenne stato di guerra, durante il V secolo – almeno secondo il bizantinista Carile –, il culto dei santi militari ebbe una grandissima propagazione in tutto il territorio. Questo tipo di diffusione è stato interpretato dallo stesso storico come una nuova difesa alla Cristianità . I santi militari erano invocati come protettori e le loro icone erano mostrate agli eserciti bizantini prima di ogni battaglia. Ma come può questo comportamento essere paragonato al moderno concetto di crociata occidentale? Vi sono delle similitudini tra il sentimento religioso che permeava la guerra nell’Impero di Bisanzio e i pellegrinaggi armati dell’XI secolo, successivamente conosciuti come crociate?
Gran parte degli studiosi rifiuta apertamente questo paragone; altri, invece, contemplano la possibilità di un anticipo di “crociata” contro gli infedeli. A favore di quest’ultima tesi vi sono due importanti esempi: la guerra di Eraclio contro i Persiani (602-638) e le guerre di conquista di Niceforo Foca (963-969). Pur diversi, questi due casi sono riconducibili in parte all’idea di crociata per i motivi che andiamo ad analizzare.
La prima è una risposta alla distruzione di Gerusalemme che trasforma tutta la controffensiva bizantina in una vendetta cristiana, mentre la seconda è una campagna militare contro gli Arabi con richiesta di martirio per i soldati che sarebbero morti combattendo gli infedeli. In tutta la storia di Bisanzio solamente questi due esempi possono essere vagamente ricondotti al concetto di crociata occidentale. Eraclio venne visto come il liberatore di Gerusalemme, colui che sconfisse i novelli faraoni e le armate di Babilonia. Niceforo Foca, invece, fu promotore di una guerra totale contro gli Arabi con la convinzione che i suoi soldati caduti sul campo meritassero il paradiso e il titolo di martiri.
Autore:
Nicola Bergamo è nato a Venezia il 1 agosto 1977 e si è laureato in storia con il massimo dei voti all’Università Cà Foscari, ha ottenuto un Master of Arts in Byzantines Studies alla Queen’s University of Belfast con encomio e ha vinto una borsa di studio per meriti scolastici alla Notre Dame University (Indiana, Stati Uniti). Nel 2006 ha fondato l’Associazione Culturale Bisanzio (www.imperobizantino.it) di cui è presidente. E’ direttore di Porphyra, la prima rivista online su Bisanzio (www.porphyra.it ). Ha pubblicato Costantino V, Imperatore di Bisanzio (Il Cerchio, 2007), e I Longobardi, dalle origini mitiche alla caduta del regno in Italia (LEG, 2012). Collabora con riviste storiche. Attualmente è dottorando presso l’EHESS di Parigi.
Recensione:
Bisanzio e la guerra, un binomio inscindibile. Se togliamo la grande stagione del periodo giustinianeo (metà del VI secolo), quando l’Impero Romano d’Oriente ebbe una fase militare espansiva, possiamo affermare che dal VII al X secolo Bisanzio dovette combattere per la sua stessa esistenza. Solamente durante la seconda metà del X secolo, con l’avvento della dinastia Macedone, l’Impero di Costantinopoli poté tornare finalmente protagonista nell’area geopolitica mediorientale. Vi furono tre Imperatori soldato che cambiarono le sorti dell’antico Impero d’Oriente e che portarono risultati militari davvero notevoli. Gran parte delle vittorie avvenne contro i nemici di sempre, gli Arabi e i Bulgari. I primi, specialmente, furono vittime di una lunga guerra di posizione che terminò con la riconquista bizantina di ampi territori, un tempo già soggetti all’Impero di Roma e della stessa Bisanzio poi.
Questo clima marziale portò a dei cambiamenti sociali e politici all’interno della Basileia. Come diretta conseguenza del perenne stato di guerra, durante il V secolo – almeno secondo il bizantinista Carile –, il culto dei santi militari ebbe una grandissima propagazione in tutto il territorio. Questo tipo di diffusione è stato interpretato dallo stesso storico come una nuova difesa alla Cristianità . I santi militari erano invocati come protettori e le loro icone erano mostrate agli eserciti bizantini prima di ogni battaglia. Ma come può questo comportamento essere paragonato al moderno concetto di crociata occidentale? Vi sono delle similitudini tra il sentimento religioso che permeava la guerra nell’Impero di Bisanzio e i pellegrinaggi armati dell’XI secolo, successivamente conosciuti come crociate?
Gran parte degli studiosi rifiuta apertamente questo paragone; altri, invece, contemplano la possibilità di un anticipo di “crociata” contro gli infedeli. A favore di quest’ultima tesi vi sono due importanti esempi: la guerra di Eraclio contro i Persiani (602-638) e le guerre di conquista di Niceforo Foca (963-969). Pur diversi, questi due casi sono riconducibili in parte all’idea di crociata per i motivi che andiamo ad analizzare.
La prima è una risposta alla distruzione di Gerusalemme che trasforma tutta la controffensiva bizantina in una vendetta cristiana, mentre la seconda è una campagna militare contro gli Arabi con richiesta di martirio per i soldati che sarebbero morti combattendo gli infedeli. In tutta la storia di Bisanzio solamente questi due esempi possono essere vagamente ricondotti al concetto di crociata occidentale. Eraclio venne visto come il liberatore di Gerusalemme, colui che sconfisse i novelli faraoni e le armate di Babilonia. Niceforo Foca, invece, fu promotore di una guerra totale contro gli Arabi con la convinzione che i suoi soldati caduti sul campo meritassero il paradiso e il titolo di martiri.
Autore:
Nicola Bergamo è nato a Venezia il 1 agosto 1977 e si è laureato in storia con il massimo dei voti all’Università Cà Foscari, ha ottenuto un Master of Arts in Byzantines Studies alla Queen’s University of Belfast con encomio e ha vinto una borsa di studio per meriti scolastici alla Notre Dame University (Indiana, Stati Uniti). Nel 2006 ha fondato l’Associazione Culturale Bisanzio (www.imperobizantino.it) di cui è presidente. E’ direttore di Porphyra, la prima rivista online su Bisanzio (www.porphyra.it ). Ha pubblicato Costantino V, Imperatore di Bisanzio (Il Cerchio, 2007), e I Longobardi, dalle origini mitiche alla caduta del regno in Italia (LEG, 2012). Collabora con riviste storiche. Attualmente è dottorando presso l’EHESS di Parigi.
Recensione:
Alcuni autori sostengono che la storia dell’Impero Romano d’Oriente non sia altro che il resoconto di un costante inarrestabile declino, mentre sono numerose le testimonianze di come Bisanzio ebbe un ruolo da protagonista nel determinare le dinamiche dei popoli fin all’esterno della sua diretta sfera di dominio.
Il saggio di Nicola Bergamo si focalizza su due eventi in particolare della storia bizantina che videro gli imperatori scendere in campo come validi e capaci condottieri. Al di là dei successi militari e delle modificazioni geopolitiche che questi eventi determinarono, l’autore mette l’accento su un aspetto che li differenzia rispetto ad altre campagne militari condotte nei secoli dalla Roma d’Oriente, ossia la spiccata motivazione religiosa che ne era alla base.
Apprendiamo così come Eraclio rispose a quello che era stato il sacco di Gerusalemme nel 614 ad opera dei Persiani di Cosroe II, causa della profanazione dei luoghi sacri della Cristianità e sottrazione della Vera Croce, con un’offensiva volta a vendicare l’onta subita e a recuperare la sacra reliquia.
Lungimirante come non lo erano stati forse i suoi predecessori, Eraclio intuisce la debolezza strutturale dell’esercito bizantino dovuta alla mancanza di organizzazione e coesione delle truppe. Lo ritroviamo quindi in Bitinia ad allenare i soldati in simulazioni di guerra atte ad aumentarne la resistenza allo sforzo e l’efficacia in battaglia ma anche per stimolarne il cameratismo con canzoni, preghiere quotidiane e grida di guerra. L’Imperatore infonde un forte sentimento religioso che animerà le truppe durante tutte le offensive. Con l’icona sacra della Vergine odigiria (colei che mostra la direzione) giura di vincere per il suo popolo e per Dio.
Nicola Bergamo ci descrive l’abile stratega nonché genio militare che sa trarre in inganno le truppe persiane simulando attacchi e sgominando gli eserciti del generale Shahrbaraz fino ad arrivare a spegnere la fiamma nel tempio del fuoco di Takt-i-Suleiman e raderlo al suolo. Parallelamente troviamo descritto anche l’uomo valoroso in battaglia che non si sottrae ai duelli ma conserva l’umiltà di entrare a piedi nudi a Costantinopoli, secondo la leggenda, portando la Vera Croce sulle spalle.
La seconda parte del saggio ci parla di un altro Imperatore, anch’egli fervente devoto fino quasi al fanatismo nonché uomo inflessibile nel comando. Si tratta di Niceforo Foca la cui fama, per aver ucciso molti nemici mussulmani, gli porta l’epiteto di “morte pallida dei Saraceni”.
Foca fa la sua comparsa nel X secolo, quando la forza militare di Bisanzio è notevolmente aumentata grazie alla presenza ormai stabile delle truppe professionali. Entrato giovanissimo nell’esercito ascende tutti i gradi militari fino alla carica di generale di tutte le truppe orientali dell’Impero ma il suo trionfo viene sancito dalla conquista di Creta. Si legge tutto di un fiato il racconto dell’assedio e capitolazione della città di Candia, grazie alle doti narrative dell’autore che racconta i fatti coinvolgendo il lettore come in un romanzo. Successivamente Foca, nominato Imperatore, organizza diverse spedizioni contro gli Arabi passando per la Siria, fregiandosi della conquista di Antiochia la Grande (una delle tre sedi patriarcali che erano ancora in mano all’Islam) e prendendo varie città tra cui Arca dove recupera la testa di Giovanni il Battista. Conduce una vita quasi ascetica anche ritornato alla corte di Costantinopoli, dove incontrerà presto la sua fine.
I detrattori delle similitudini con le Crociate affermano l’inconsistenza del concetto di “guerra santa” presso Bisanzio in quanto questa si rifaceva al canone di San Basilio (divieto di comunione per tre anni ai soldati che uccidevano), divieto che Bergamo sottolinea non venisse in sostanza dei fatti applicato se non dopo la formale richiesta di Niceforo di assurgere a martiri i soldati morti nelle battaglie condotte contro gli Arabi. Questioni di equilibri politici sembrano quindi sovrapporsi a quelle di natura religiosa.
Rimane una realtà il fatto che prima della battaglia gli eserciti bizantini cantassero inni sacri, si facessero il segno della croce e combattessero i nemici della Cristianità seguendo l’Imperatore il quale rappresentava l’immagine di Dio sulla Terra.
Questo saggio di Nicola Bergamo, seppur nella sua brevità, risulta esaustivo nel ritratto delle due figure storiche dei Basileus Eraclio e Niceforo Foca. Il pregio risiede nel carattere divulgativo dell’opera che la rendono interessante e di facile fruizione anche ai non addetti ai lavori. I dettagli storico-linguistici sono ridotti al necessario a favore di una immediatezza narrativa che dipinge le vicende con efficacia ed estrema godibilità. Pregevoli anche le mappe sull’assedio di Eraklion e la battaglia di Ninive disegnate da Filippo Conconi.
Lettura consigliata sia a quanti conoscono l’argomento e vogliono riflettere su alcuni aspetti della Storia, sia a coloro che si approcciano per la prima volta al mondo bizantino per imparare a conoscerlo.
Titolo: La morte pallida dei saraceni
Autore: Nicola Bergamo
Editore: Nicola Bergamo
Pagine: 35
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Sempre molto interessante. E pensare che a scuola odiavo la storia!
Salvatore Scalia
Quando, da ragazzi, ci impongono le cose queste finiscono sempre per risultarci ostiche. Ma crescendo ci si accorge che la Storia può essere appassionante come un romanzo :)
Piuttosto ero fermamente convinto che non servisse a nulla studiarla. Grandissimo sbaglio. Ma ora mi stò rifacendo.
Salvatore Scalia
Ottimo. Anche io 😉