Il resto degli scafi antoniani tornò nello specchio d’acqua riparato e attrezzato per l’attracco e la sosta delle navi dopo aver patito diverse perdite. Buona parte dell’esercito antoniano, guidato da Publio Canidio[4], non prese parte al combattimento e proseguì per svariati giorni ad opporsi prima di capitolare e consegnarsi al nemico, essendo venuto a conoscenza dell’abbandono precipitoso di Marco Antonio.
Purtroppo non si conosce con precisione l’evolversi di questa battaglia a causa della mancanza di documenti degni di fede. Certo rimane che essa diede inizio al declino della repubblica romana e al conseguente passaggio al governo di un principe, sancito nel 27 a.C. con l’attribuzione ad Ottaviano dell’appellativo di Augusto. Il conflitto di Azio viene ricordato pure per l’impiego da parte della flotta capeggiata da Agrippa dell’arpagone, consistente in un rostro uncinato, adoperato per bloccare l’imbarcazione avversaria ed abbordarla.
PRESUPPOSTI
Dopo aver sottomesso l’Armenia nel 34 a.C. con l’appoggio dei reparti militari di Cleopatra, monarca egizia con cui ebbe una relazione amorosa extraconiugale, Marco Antonio festeggiò il successo militare ad Alessandria[5], città sede degli organismi legislativi ed amministrativi centrali del Paese delle Due Terre. In quella circostanza stabilì che Cleopatra e Cesarione (figlio di Gaio Giulio Cesare)[6] esercitassero provvisoriamente il potere sovrano sull’isola di Cipro[7] e suddivise i possedimenti orientali di Roma, che gli erano stati conferiti con i patti del secondo triumvirato, tra i tre suoi figli messi al mondo da Cleopatra[8], per mezzo della famosa donazione di Alessandria[9]. Il Senato non ritenne opportuno che il condottiero avesse festeggiato la sua vittoria ad Alessandria e ancor meno che avesse distribuito ai figli territori che erano legittima proprietà di Roma e non di Antonio. Nel frattempo Ottaviano si era appropriato illegalmente del testo scritto[10]con il quale Antonio disponeva dei propri beni dopo la sua morte, leggendolo davanti a tutti i senatori[11] e provocandone una forte indignazione. Pertanto il Senato e il popolo romano dichiararono Marco Antonio nemico della patria e, non volendo che si parlasse di scontro armato intestino, proclamarono ufficialmente di combattere Cleopatra[12] e l’Egitto.
Negli ultimi giorni di settembre del 32 a.C. Antonio e Cleopatra spostarono la base operativa delle intere forze armate a Patrasso[13], insidiando in modo diretto l’Italia. La scelta era perfetta poiché l’insenatura marina in cui si trova il centro abitato era difesa, procedendo verso la penisola italiana, dalle isole di Leuca e Cefalonia. Dato che Antonio era divenuto un pericolo incombente, Ottaviano, sapendo di non essere competente nella direzione delle operazioni militari ma, occupandosi di politica per professione, ebbe la capacità di attorniarsi di validi collaboratori tra i quali risaltava per bravura il comandante Marco Vipsanio Agrippa. Mentre Antonio svernava a Patrasso, Agrippa pensava a come fronteggiare la situazione sfavorevole. Agli inizi di marzo del 31 a.C. il capitano romano, partendo da Brindisi e traversando il mar Ionio, condusse il complesso degli scafi militari romani non contro l’avversario, che lo aspettava davanti a Leuca, ma verso mezzogiorno per sconfiggere le truppe di Modone[14]. Increduli per l’attacco improvviso le milizie di Antonio capitolarono subito e tutte le linee generali di condotta nelle varie azioni di guerra vennero messe in grave crisi. Conquistata Modone le provviste a Patrasso non riuscirono più ad arrivare via mare ma solamente via terra[15], assai più lenta e costosa. Gli specialisti nel modo di condurre le manovre belliche concordano nell’asserire che da quel momento il conflitto era ormai risolto a vantaggio di Ottaviano.
Da Modone Agrippa insidiava in modo diretto Patrasso, obbligando Antonio e Cleopatra a trasferire i loro uffici di comando ad Azio. Alla fine Agrippa si impadronì pure dell’isola di Leuca[16]. La situazione si ribaltava: Ottaviano si trovava in una situazione favorevole ed aveva la possibilità di aspettare, mentre Antonio e Cleopatra dovevano affrontare il nemico e batterlo. Benché gli ufficiali di Antonio fossero certi della superiorità dei loro reparti militari terrestri, Cleopatra persuase Antonio ad ingaggiare battaglia sul mare[17] poiché l’intraprendente monarca, che non aveva dato molti fanti ma una discreta quantità di imbarcazioni, desiderava prendere parte al successo militare. Le navi di Antonio erano più numerose e soprattutto di maggiori dimensioni[18] ma scarsa velocità, invece quelle di Ottaviano erano decisamente più facili da dirigere. Oltre a ciò a maggio si diffuse all’improvviso e con violenza la malattia infettiva trasmessa all’uomo dalla zanzara anofele che provocò la morte di parecchi militi di Antonio e l’insufficiente arrivo di generi alimentari determinò un buon numero di tradimenti. Per impedire che il personale di bordo degli scafi, ribellatosi all’autorità dei superiori, affidasse le imbarcazioni all’avversario, Antonio ordinò di distruggerne con il fuoco cinquanta, le meno idonee allo scontro armato, operando una riduzione del complesso delle navi a 170 unità. Sul finire di agosto Antonio comandò di tener pronti gli scafi. Probabilmente predisponeva la fuga, che fu però rimandata a causa di una burrasca. Il 2 settembre il mare era tranquillo ed Antonio portò le sue imbarcazioni fuori dall’insenatura marina di Ambracia[19]. Aveva inizio il combattimento[20].
SVOLGIMENTO DELLO SCONTRO ARMATO
RIPERCUSSIONI
Quando Ottaviano arrivò ad Alessandria, senza aver pressoché preso parte a combattimenti, la monarca cercò di farlo innamorare avvincendolo con il proprio fascino, avendo agito allo stesso modo dapprima con Cesare e successivamente con Antonio[31], ma Ottaviano non si lasciò convincere dalle lusinghe di Cleopatra[32]. A quel punto essa comprese molto bene quale fosse la sua sorte: sfilare per le vie di Roma per celebrare la vittoria del suo nemico[33]. Pertanto preferì darsi la morte[34], facendo sì che una sua mammella fosse morsa da un cobra egiziano[35]maculato di scuro[36]. Questi avvenimenti destarono una forte impressione nei cittadini romani e favorirono la nascita di lavori poetici, come la celebre ode I, 37 di Quinto Orazio Flacco[37]ed il Carmen de bello actiaco di Cornelio Severo[38].