Quattro furono i decreti teodosiani, tutti emanati da Teodosio I (Hispania, 11 gennaio 347 d.C. – Milano, 17 gennaio 395 d.C.) fra il 391 e il 392 d.C. per fare oggetto di costante vessazione i seguaci del paganesimo[1]. Sono in pratica l’attuazione dell’Editto di Tessalonica (Cunctos populos), emesso sempre da Teodosio[2], Graziano (Sirmio, 18 aprile/23 maggio 359 d.C. – Lugdunum, 25 agosto 383 d.C.) e Valentiniano II (371 d.C. – Vienne, 15 maggio 392 d.C.) nel 380 d.C., con il quale si affermava ufficialmente che il Cristianesimo fosse il culto di Stato dell’impero romano, senza impartire tuttavia le opportune direttive al riguardo.
PRIMO DECRETO
Il primo decreto (Nemo se hostiis polluat), che venne promulgato a Milano il 24 febbraio del 391 d.C., proibì le azioni sacre pagane consistenti nell’offerta solenne alle divinità di vittime o di doni, pure in modo privato[3], vietò di entrare negli edifici[4] destinati ai culti religiosi pagani, di frequentare i luoghi considerati sacri per una presenza divina e di prostrarsi[5] di fronte alle opere scultoree raffiguranti gli dei pagani. La sanzione contemplata era di 15 libbre auree. Il decreto era rivolto a Ceionio Rufio Albino, il prefetto di Roma nel 391 d.C.
«L’Augusto Imperatore (Teodosio) ad Albino, prefetto del pretorio.
Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l’intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d’oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull’esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.
Milano, in data VI calende di marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
(Codice Teodosiano, XVI.10.10)
SECONDO DECRETO
Emanato a Iulia Concordia l’11 maggio del 391 d.C. e rivolto a Virio Nicomaco Flaviano[6] (334 d.C. pressappoco – 6 settembre 394 d.C.), prefetto del pretorio dell’Italia, Illirico[7] e Africa. Determina le sanzioni per i lapsi (caduti), ossia i pagani che ricevettero il battesimo e successivamente tornarono al paganesimo.
«Gli augusti imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Flaviano, prefetto del pretorio.
Coloro che hanno tradito la santa fede [cristiana] e hanno profanato il santo battesimo, siano banditi dalla comune società: dalla testimonianza [in tribunale] siano esentati, e come già abbiamo sancito non abbiano parte nei testamenti, non ereditino nulla, da nessuno siano indicati come eredi. Coloro ai quali era stato comandato di andarsene lontano ed essere esiliati per lungo tempo, se non sono stati visti versare un compenso maggiore tra gli uomini, anche dell’intercessione degli uomini siano privati.
Se casomai nello stato precedente [il paganesimo] ritornano [i neo-convertiti], non sia cancellata la vergogna dei costumi con la penitenza, né sia riservata loro alcuna particolare protezione di difesa o di riparo, poiché certamente coloro i quali contaminarono la fede, con la quale Dio hanno riconosciuto, e orgogliosamente trasformarono i divini misteri in cose profane, non possono conservare le cose che sono immaginarie e a proprio comodo. Ai lapsi ed anche ai girovaghi, certamente perduti, in quanto profanatori del santo battesimo, non si viene in soccorso con alcun rimedio di penitenza, alla quale si ricorre ed è solita giovare negli altri peccati.
A Concordia, in data V idi di maggio sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
(Codice Teodosiano, XVI.7.4)
TERZO DECRETO
Il decreto del 16 giugno del 391 d.C., emesso ad Aquileia, riprende nelle linee essenziali il decreto del 24 febbraio del 391 d.C., proibendo la religione pagana nelle costruzioni destinate al culto religioso.
«L’Augusto Imperatore (Teodosio) al prefetto Evagrio e a Romano conte d’Egitto.
A nessuno sia accordata facoltà di compiere riti sacrificali, nessuno si aggiri attorno ai templi, nessuno volga lo sguardo verso i santuari. Si identifichino, in particolar modo, quegli ingressi profani che rimangono chiusi in ostacolo alla nostra legge così che, se qualcosa incita chicchessia ad infrangere tali divieti riguardanti gli dèi e le cose sacre, riconosca il trasgressore di doversi spogliare di alcuna indulgenza. Anche il giudice, se durante l’esercizio della sua carica ha fatto ingresso come sacrilego trasgressore in quei luoghi corrotti confidando nei privilegi che derivano dalla sua posizione, sia costretto a versare nelle nostre casse una somma pari a 15 libbre d’oro a meno che non abbia ovviato alla sua colpa una volta riunitesi le truppe militari.
Aquilea, in data XVI calende di luglio, sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
(Codice Teodosiano, XVI.10.11)
DISTRUZIONE DEGLI EDIFICI DESTINATI ALLA RELIGIONE PAGANA
I seguaci del paganesimo, che erano ancora la parte più numerosa dei cittadini dell’impero, non accettarono il divieto di frequentare le costruzioni destinate al loro culto religioso. Si giunse a vere e proprie prese di possesso armate dei templi che si conclusero con l’intervento delle milizie imperiali cristiane e con saccheggi, distruzioni di opere scultoree e luoghi di culto pagani da parte di religiosi cristiani che vivevano nei conventi e da fanatici capeggiati frequentemente da un episcopo.
In modo particolare emblematica risulta la vicenda del Serapeo[8] ad Alessandria d’Egitto. Qui l’episcopo Teofilo (… – 15 ottobre 412 d.C.) domandò ed ebbe da Teodosio la possibilità di trasformare in struttura cristiana l’edificio destinato al culto di Dioniso[9]. La risoluzione imperiale provocò la rivolta dei pagani che si azzuffarono nelle piazze con i cristiani, dopo che questi ultimi avevano percosso a sangue, sottoposto a tortura ed ammazzato i ministri del culto di Dioniso. I seguaci del paganesimo si chiusero nel Serapeo sbarrandone ogni accesso, circondati da forze armate imperiali e da fanatici condotti da Teofilo. A capo della ribellione vi era un certo Olimpio, che spronava i pagani a cessare di vivere anziché ripudiare la religione dei loro progenitori. I cristiani, dopo aver ucciso tutti i pagani del Serapeo, fecero entrare diverse salme (probabilmente pure provenienti dalle carceri) come martiri cristiani catturati e massacrati dai pagani, ma Eunapio afferma che non furono mai incarcerati dei cristiani[10].
La costruzione destinata al culto di Artemide[11] ad Efeso[12] fu devastata. L’archiepiscopo Giovanni Crisostomo[13] (Antiochia di Siria, 344/354 d.C. – Comana Pontica, 14 settembre 407 d.C.) coordinò un’azione aggressiva di monaci fanatici ad Antiochia[14] per abbattere i luoghi di culto pagani e far ammazzare coloro che adoravano gli idoli, invece l’episcopo Porfirio (Tessalonica, 347 d.C. più o meno – Gaza, 26 febbraio 420) di Gaza[15] fece demolire il celebre edificio destinato al culto di Marnas[16][17] (considerato simile a Zeus).
QUARTO DECRETO
Il quarto decreto (Gentilicia constiterit superstitione), promulgato l’8 novembre del 392 d.C. a Costantinopoli, vietò completamente la venerazione privata delle divinità (Lari[18], Geni[19] e Penati[20]). Esso stabiliva il reato di lesa maestà, implicante la perdita di diritti civili, per coloro che compivano azioni sacre consistenti nell’offerta solenne alle divinità di vittime o di doni al fine di onorarle. Era contemplata pure la pena capitale. Le case in cui avessero avuto luogo tali cerimonie erano confiscate e pene pecuniarie considerevoli erano fissate (25-30 libbre auree) per i decurioni[21] che non avessero fatto osservare il decreto.
«Gli augusti imperatori Teodosio, Arcadio e Onorio a Rufino prefetto del pretorio.
Nessuno, di qualunque genere, ordine, classe o posizione sociale o ruolo onorifico, sia di nascita nobile sia di condizione umile, in alcun luogo per quanto lontano, in nessuna città scolpisca simulacri mancanti di sensazioni o offra (alcuna) vittima innocente (agli dèi) o bruci segretamente un sacrificio ai lari, ai geni, ai penati, accenda fuochi, offra incensi, apponga corone (a questi idoli). Poiché se si ascolterà che qualcuna avrà immolato una vittima sacrificale o avrà consultato viscere, sia accusato di reato di (lesa) maestà e accolga la sentenza competente, benché non abbia cercato nulla contro il principio della salvezza (Dio) o contro la (sua) salvezza. È sufficiente infatti per l’accusa di crimine il volere contrastare la stessa legge, perseguire le azioni illecite, manifestare le cose occulte, tentare di fare le cose interdette, cercare una salvezza diversa (da quella cristiana), promettere una speranza diversa.
Se qualcuno poi ha venerato opere mortali e simulacri mondani con incenso e, ridicolo esempio, teme anche coloro che essi rappresentano, o ha incoronato alberi con fasce, o eretto altari con zolle scavate alle vane immagini, più umilmente è possibile un castigo di multa: ha tentato una ingiuria alla piena religione (cristiana), è reo di violata religione. Sia multato nelle cose di casa o nel possesso, essendosi reso servo della superstizione pagana. Tutti i luoghi poi nei quali siano stati offerti sacrifici d’incenso, se il fatto viene comprovato, siano associati al nostro fisco. Se poi in templi e luoghi di culto pubblici o in edifici rurali qualcuno cerca di sacrificare ai geni, se il padrone di casa non ne è a conoscenza, 25 libbre di oro di multa si propone di infliggere (al sacrificante), è bene poi essere indulgenti verso lui (il padrone) e la pena trattenere.
Poiché poi vogliamo custodire l’integrità di giudici o difensori e ufficiali delle varie città, siano subito denunciati coloro scoperti (negligenti), quelli accusati siano puniti. Se questi infatti sono creduti nascondenti favori o negligenze, saranno sotto giudizio. Coloro poi che assolvono (gli accusati di idolatria) con finzione, saranno multati di 30 libbre di oro, sottostando anche agli obblighi che derivano da un loro simile comportamento dannoso.
Costantinopoli, in data VI idi di novembre, sotto il consolato di Arcadio e Rufino».
(Codice Teodosiano, XVI.10.12)
BIBLIOGRAFIA
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BADEL – H. INGLEBERT, L’Impero Romano in 200 mappe, Leg, Gorizia 2015;
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CRAVERI, L’eresia, Mondadori, Milano 1996;
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ZIOLKOWSKI, Storia di Roma, Bruno Mondadori, Milano 2006.
[1] Badel, C.; Inglebert, H. L’Impero Romano in 200 mappe. Gorizia: Leg, 2015, p. 242.
[2] Aa.Vv. Atlante Storico. Milano: Rizzoli Larousse, 2004, p. 105.
[3] Spinosa, A. La grande storia di Roma. Milano: Arnoldo Mondadori, 1998, p. 506.
[4] Clemente, G. Guida alla storia romana. Milano: Arnoldo Mondadori, 1985, p. 302.
[5] Pani, M.; Todisco, E. Storia romana. Roma: Carocci, 2008, p. 367.
[6] Studioso romano di grammatica e storia.
[7] Provincia dell’impero romano che comprendeva la porzione occidentale della penisola balcanica.
[8] Edificio destinato al culto religioso del dio Serapide.
[9] Dio greco dell’estasi e dell’ubriachezza.
[10] Eunapio, Vitae Sophistarum.
[11] Divinità delle bestie non domestiche, del bosco, dei terreni lavorati, della purezza e della verecondia.
[12] Importante centro abitato sulla costa dell’attuale Turchia.
[13] Dottore della Chiesa.
[14] Insediamento abitativo di epoca remota della Siria (attualmente però in Turchia), sulle sponde del fiume Oronte.
[15] Centro urbano della Palestina.
[16] Craveri, M. L’eresia. Milano: Mondadori, 1996, p. 23.
[17] Brown, P. La formazione dell’Europa cristiana. Roma-Bari: Laterza, 1995, p. 67.
[18] Anime dei progenitori deceduti.
[19] Anime protettrici di individui.
[20] Spiriti che proteggevano una famiglia.
[21] Dirigevano ed amministravano le colonie e i municipia in nome di Roma.