Lorenzo Braccesi è stato docente all’Università di Torino, Venezia e Padova. Si è dedicato a tre aspetti dell’indagine storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica (fondata sulla conoscenza dell’età greca e romana) nelle letterature contemporanee. Nei suoi ultimi volumi pubblicati si è occupato di donne dell’antica Roma: Giulia, la figlia di Augusto (2014), Agrippina, la sposa di un mito (2015), Livia (2016).
Di particolare importanza per una piena comprensione del testo Zenobia, l’ultima regina d’Oriente (dato alle stampe nel mese di gennaio del 2019) è sia l’introduzione dell’autore che la presentazione dello stesso da parte dell’editore nella seconda di copertina. Nell’introduzione Lorenzo Braccesi afferma che: «A richiamare la nostra attenzione su Zenobia è l’attuale tragedia di Palmira, la capitale del suo regno, rimasta intatta nei secoli, quasi delicatamente protetta dalle sabbie del deserto, poi rinata nella sua meraviglia di architetture grazie al lavoro di generazioni di studiosi, proclamata patrimonio dell’umanità, e oggi minacciata dalla furia della barbarie islamista, che ne ha selvaggiamente assassinato il custode, quasi il suo ultimo signore, l’archeologo Khaled al-Asaad.
Ma chi è Zenobia? Non solo un’affascinante ed esotica signora dell’Oriente, ma anche una protagonista di notevole ed elevata cultura. Se forse esagerate possono apparire le virtù – divenute poi proverbiali – che le sono attribuite dalla tradizione, tanto per resistenza alle fatiche fisiche quanto per disposizione alla conoscenza delle lingue e attitudine alla ricerca storica, era senza dubbio una donna dalle doti straordinarie. In grado di marciare con le truppe, di governare uno stato proclamatosi autonomo dalla compagine dell’Impero romano e, inoltre, non intimorita nel colloquiare con uomini della statura intellettuale del vescovo Paolo di Samosata o del retore e filosofo Cassio Longino, cui i moderni vollero attribuire la paternità del trattato Del Sublime.
La sua ascesa brilla di luce intensa, ma in un divenire che si brucia in fretta. La parabola secessionista, legata al suo nome, dura, grosso modo, un quinquennio. Prima di questa vicenda, di lei non sappiamo nulla tranne che è la moglie, e poi la vedova, di un condottiero, a capo di Palmira, che aveva combattuto per Roma arginando con successo una devastante offensiva persiana contro la provincia di Siria. Dopo la sua sconfitta, di lei conosciamo soltanto notizie romanzate elaboratesi già in età tardo-antica. Nonostante il ristretto arco di tempo che l’ha per protagonista, enorme nella tradizione è però la sua fortuna. Sia per essersi contrapposta a Roma; sia perché il suo essere contro, sul piano politico e sul piano della vita personale, si è prestato a una declinazione in chiave di lotta femminista; sia, infine, perché è divenuta un simbolo, seppure di carattere archeologico, dell’aspirazione all’indipendenza del Medio Oriente gravato, più volte nella storia, dalla tutela forzata, non richiesta e indesiderata, delle potenze predatrici dell’Occidente europeo. Dunque una protagonista. Signora di un dominato che andava dalla Galazia alla Siria e all’Egitto, dall’Halys all’Eufrate e al Nilo. Un dominato secessionista che le consentiva di monopolizzare le vie del commercio dall’India tramite il controllo delle carovaniere che dal Golfo Persico o dal Golfo di Aden risalivano fino al Mediterraneo con merci di lusso come la seta o gli aromi o le spezie. Per giunta, conquistata la provincia dell’Egitto, poteva affamare la stessa plebe di Roma tramite la padronanza del granaio nilotico.
Di questa protagonista della storia del Medio Oriente questo libro mostrerà come il suo sogno di una rinascita di un grande monarcato ellenistico, più esteso di quello di Cleopatra, sia stato effimero per un errore di valutazione politica: quello, cioè, di avere considerato l’impero di Roma irreparabilmente frazionato, sia in Oriente sia in Occidente, e quindi destinato alla totale disgregazione. Mostrerà, inoltre, come dopo la sua sconfitta l’imperatore Aureliano, vincitore e restitutor orbis, istruirà un’azione giudiziaria contro i vinti che costituisce, con le dovute differenze, un importantissimo precedente – mai preso in considerazione – del processo di Norimberga, imposto dalle potenze vincitrici quale epilogo della seconda guerra mondiale. Dirà anche come e perché Zenobia si salvi dalla morte, dopo l’umiliazione del trionfo, per l’influenza esercitata – da prigioniera al seguito – sul suo vincitore, cui la legava la comune adesione a un credo monoteista: lei convertitasi al cristianesimo eretico di Paolo, il vescovo di Antiochia, lui adepto e propugnatore del culto del Sol Invictus. Influenza, in Aureliano, forse non disgiunta da una duplice attrazione, sia intellettuale sia fisica. Il libro mostrerà, infatti, come la regina, seppure prigioniera e sconfitta, esercitasse dietro le quinte il ruolo fantasma di consigliera del sovrano e di sua curatrice di immagine. Consigliera in ambito religioso; curatrice di immagine in ambito culturale e propagandistico nel nome di una comune predisposizione verso il dispotismo, che ella ammanta per lui di fasto orientale e giustifica nell’exemplum paradigmatico dell’imitatio Alexandri. Funzioni che non era prevedibile che ella dovesse esercitare soltanto dall’alba al tramonto, giacché tutto lasciava presagire per il regno di Aureliano stabilità e lunga durata. Mentre, invece, così non fu. Egli morì assassinato poco dopo il loro incontro, ponendo fine a ogni progetto di segreta e futura collaborazione tra il dominus et deus e – per dirla con Orazio – la non humilis mulier».
Invece nella presentazione dell’opera da parte dell’editore il medesimo dichiara che: «Il sogno dell’ultima regina d’Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, più esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l’impero di Roma prossimo alla disgregazione. L’ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l’esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l’imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira – oggi oggetto di disumana offesa – ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista».
Si ritiene che quanto detto nell’introduzione dall’autore e nella presentazione del libro da parte dell’editore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità del volume preso in esame. Di grande utilità sono la cartina in bianco e nero dell’impero romano, la bibliografia, le note a piè di pagina e l’indice dei nomi. Un testo meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e/o regalare a coloro che sono interessati alla figura della regina Zenobia e più in generale alla storia dell’antica Roma.
Titolo: Zenobia, l’ultima regina d’Oriente
Autore: Lorenzo Braccesi
Editore: Salerno
Pagg. 200