Nell’ottobre 2012, non appena imbattutomi in questo testo fresco di stampa, la copertina mi impressionò favorevolmente e mi indusse a comprarlo subito. Sicuramente l’argomento trattato mi interessa da sempre, ma bisogna pur dire che già numerosi storici italiani e stranieri, contemporanei e non, si sono soffermati sulla proposita quaestio con grande dispendio di energie nonché numerosi articoli e pubblicazioni.L’autrice, Elena Percivaldi, medievista e scrittrice, collaboratrice di riviste specializzate come «Civiltà» e «Medioevo», ha già pubblicato diversi volumi riguardanti il Medioevo. Con il testo preso in esame ha desiderato approfondire la figura dell’imperatore Costantino all’interno di un impero che, soprattutto nella parte occidentale, mostrava allarmanti segnali di deterioramento. Mi sembra opportuno sezionare il volume, capitolo per capitolo, per meglio comprendere il filo conduttore e la finalità dell’opera.
Nel primo capitolo, dal titolo «Un impero in crisi», la Percivaldi in maniera sintetica evidenzia le motivazioni che avevano indotto diversi imperatori romani a perseguitare i cristiani. Dapprima vi furono motivi politici, una caratteristica della storia romana sin dalle origini, ma a partire da Traiano si era passati a motivazioni di carattere ideologico. Di che cosa erano accusati i cristiani? Di essere empi ed atei, dal momento che si opponevano sdegnosamente a sacrificare agli dei «romani» della religione ufficiale. La scrittrice ricorda il celebre retore Marco Cornelio Frontone, precettore dell’imperatore Marco Aurelio, che in una famosa orazione aveva accusato i cristiani di infanticidio ed incesto. Un ulteriore salto di qualità nelle persecuzioni dei cristiani si era avuto con Massimino il Trace, il quale aveva compreso che, per annientare questa religio illicita, era opportuno catturare coloro che avevano un ruolo di spicco nell’ecclesia. I cristiani, che non sacrificavano agli dei, erano condannati al lavoro in miniera (damnatio ad metalla), o ad essere un buon pasto per le fiere durante lo svolgimento di spettacoli pubblici (damnatio ad bestias). Successivamente l’autrice si occupa dell’Editto di tolleranza del febbraio 313, con il quale ogni persona «avrebbe avuto il diritto di professare il proprio culto liberamente e semplicemente, senza essere molestato». Pertanto in primis sarebbero stati restituiti ai cristiani i luoghi di culto, un tempo espropriati. L’autrice informa che il testo autentico dell’Editto di Milano è andato perduto, ma non si possiede neanche una trascrizione di seconda mano o di un’epoca posteriore. Però grazie a Lattanzio e ad Eusebio di Cesarea, che hanno collocato il testo dell’Editto nelle loro opere, si può conoscerne il contenuto e la sua validità per tutti i territori dell’impero romano.
Nel secondo capitolo, dal titolo «Un’irresistibile marcia su Roma», ci si sofferma sugli episodi importanti della vita di Costantino. Egli nacque a Naissus in Mesia, crebbe nello splendido palazzo imperiale di Nicomedia e si mise presto in mostra combattendo in Palestina ed Egitto. Successivamente in Britannia, insieme al padre, lottò valorosamente contro i Pitti che desideravano oltrepassare il Vallo costruito da Adriano, confine settentrionale della presenza degli eserciti romani su quell’isola. Il padre, Costanzo Cloro, venne ucciso in battaglia il 25 luglio 306 non lontano da Eboracum, l’odierna York. Subito dopo l’esercito dichiarò Costantino il nuovo augusto d’Occidente. È qui che ha inizio la splendida carriera del neo imperatore. A questo punto la Percivaldi non poteva non soffermarsi sulla battaglia sul Ponte Milvio, del 28 ottobre 312. Più o meno a 16 chilometri dal ponte, in località Casale di Malborghetto, viene allocato l’accampamento di Costantino, luogo in cui sarebbe avvenuta la visione che modificò il corso della Storia. Ma cosa aveva visto Costantino in quella visione? Una grande croce di luce fiammeggiante e sotto la croce vi era la scritta in greco «In questo vinci». Inoltre una persona, in un mare di luce, lo aveva invitato ad utilizzare quel segno contro i suoi nemici. Lattanzio ed Eusebio di Cesarea ci forniscono due versioni differenti del fatto preso in esame. Lattanzio sostiene che Costantino in sogno, alla vigilia della battaglia, abbia avuto il comando di collocare sugli scudi dei soldati il «segno celeste di Dio». Eusebio di Cesarea racconta che Costantino, pensando a come invocare gli dei prima dello scontro decisivo, vide nel sole accecante di mezzogiorno una croce di luce con intorno la scritta «In hoc signo vinces». È da sottolineare come in greco l’espressione citata è composta da tre parole, mentre in latino sono quattro. Diversi studiosi hanno formulato alcune interpretazioni con le quali si sforzano di spiegare e chiarire il mistero, ma non appaiono tesi realmente convincenti. Infine sono state ritrovate monete, che hanno sul recto Costantino e sul verso la croce senza ulteriori elementi cristiani.
Nel terzo capitolo, dal titolo «Padrone dell’Impero, Patrono della Chiesa», la Percivaldi evidenzia «il fine acume politico, l’apparente neutralità religiosa» e, aggiungo, le buone doti militari di Costantino che comprese ben presto come l’Illirico fosse una regione strategica per l’Impero, ma allo stesso tempo esposta alle incursioni dei barbari. Pertanto fece potenziare le fortificazioni già esistenti, le flotte marittime sull’Adriatico e sull’Egeo, ed allestì arsenali e cantieri navali nei porti di Aquileia, Pireo e Tessalonica. Viene narrato con dovizia di particolari lo scontro duro e difficile di Costantino con Licinio per il controllo dell’impero. Il figlio di Costanzo Cloro, benché fosse in inferiorità numerica, riuscì vittorioso e si affermò come unico padrone e sovrano. La tetrarchia voluta da Diocleziano, dopo quarant’anni dalla sua istituzione, veniva accantonata definitivamente. Costantino desiderò che la sua persona avesse una valenza sacrale, realizzando una vera e propria teocrazia. Ma per poter realizzare questo progetto necessitava dell’appoggio della Chiesa, che fu pienamente inserita negli affari dello Stato, interferendo a sua volta in quelli della Chiesa e specialmente occupandosi delle prime eresie, in particolare dell’arianesimo e del donatismo, un rompicapo di difficile soluzione. Nel 325 convocò a Nicea un concilio ecumenico per dibattere la questione della consustanzialità del Figlio con il Padre e determinare la data della Pasqua (motivo di discordia fra le diverse chiese locali). Alla fine il concilio condannò l’arianesimo e dichiarò la consustanzialità del Padre e del Figlio. A partire da Costantino si può parlare di cesaropapismo, cioè congiungere nella sua persona sia l’autorità religiosa che quella politica. Inoltre Costantino stabilì tutta una serie di misure a vantaggio della Chiesa. È opportuno ricordarne almeno due: la manumissio in ecclesia, consistente nella liberazione degli schiavi innanzi ai vescovi e la episcopalis audientia, che conferiva funzioni giudiziarie all’episcopato. Lo stesso imperatore decretò il 7 marzo 321 che il Dies solis fosse giorno di riposo:«nel venerabile giorno del Sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi……». Molti storici del passato, ma anche del presente, hanno avuto dubbi sulla reale conversione di Costantino al cristianesimo. Alcuni esempi: fu tollerante con ebrei e pagani, mantenne il titolo di pontefice massimo, volle far ricordare la sua vittoria su Licinio istituendo i Ludi Triumphales, permise che le comunità cristiane costruissero edifici ma fuori dal pomerium, spazio nel quale erano presenti i templi degli antichi dei e gli edifici amministrativi.
Nel quarto capitolo, dal titolo «Morte e trasfigurazione di un imperatore», la scrittrice in primis si sofferma sulla città di Bisanzio, fondata dai Megaresi nel VII secolo a.C., costruita su un promontorio e quindi in un luogo facile da difendere. Costantino decise di spostare la capitale dell’impero da Roma a Bisanzio, ben comprendendo la sua posizione strategica. Nel 330, precisamente l’undici maggio, Bisanzio prese il nome di Costantinopoli. Lo stesso Costantino, che era pontefice massimo, stabilì il pomerium, il perimetro sacro. Volle affidarsi ai tradizionali riti pagani all’atto di fondazione dell’urbe. In particolare trasferì il Palladion, la statua protettrice di Roma, che Enea aveva condotto a Roma, abbandonando Troia in fiamme. Vennero costruiti splendidi edifici. Il palazzo imperiale, le terme, l’aula del Senato, un nuovo porto, il foro ed il circo abbellirono la nuova capitale. Ben presto la popolazione raggiunse le 80.000 unità. Successivamente la Percivaldi si occupa del Constitutum Constantini, documento con il quale Costantino cedeva al Papa Silvestro l’Impero Romano d’Occidente e stabiliva il primato del vescovo di Roma sulle sedi di Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme. Narrano alcune biografie di San Silvestro che il Papa avrebbe guarito Costantino dalla lebbra. Per tale motivo ci sarebbe stato il Constitutum Costantini. L’umanista Lorenzo Valla seppe dimostrare, a partire dal latino medioevale per finire a formule giuridiche non esistenti in età costantiniana, la falsità del documento redatto molto probabilmente nell’VIII secolo. Dante riteneva il documento autentico ed iniziatore dei mali che caratterizzavano la Chiesa del suo tempo. È doveroso ricordare che la madre di Costantino, Elena, viene venerata come santa dalla Chiesa. Sicuramente influenzò le scelte politiche del figlio ed in particolare la politica filo cristiana di Costantino. In realtà di Elena si sa davvero pochino. Non si conosce il suo luogo di nascita. Alcuni storici propendono per Drepanon, nell’attuale Turchia. Altri ritengono che sia nata in Britannia. Non si sa neanche se fosse sposata con Costanzo Cloro, padre di Costantino, oppure fosse solo una concubina. Non si conosce quando Elena divenne cristiana. Da ricordare il famoso viaggio che la madre di Costantino fece in Palestina nel 326. Si racconta che Elena riuscì a portare a Roma la Croce sulla quale Gesù venne martirizzato. Il capitolo si conclude ricordando la morte di Costantino, avvenuta il 22 maggio 337. Venne battezzato dal vescovo ariano Eusebio, poche ore prima della sua morte.
Nell’Epilogo, dal titolo «Diciassette secoli, e sembra ieri», si ricorda come la chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli conservasse le spoglie mortali dell’imperatore. Due storici della Chiesa, Teodoreto e Filostorgio, ricordano come Costantino fosse ben presto considerato santo insieme alla madre Elena. Ma vi furono anche detrattori importanti che non ritenevano affatto l’imperatore santo. Si pensi a Girolamo, biblista, che accusa Costantino di aver accettato l’eresia ariana in punto di morte. La liturgia bizantina, molto probabilmente nel VII secolo, decretò che il 21 maggio fosse la festa di Costantino ed Elena. Gregorio di Tours e Beda il Venerabile ritennero Costantino un modello che i re cristiani avevano la necessità di imitare. Carlo Magno, nel IX secolo, sostituì il figlio di Costanzo Cloro nel ricordo e nella mente di molti scrittori e storici cristiani.
Il giudizio su questo testo è positivo. Il linguaggio è semplice, scorrevole e comprensibile non solo da persone ferrate sull’argomento proposto. Il rigore storico dell’autrice non viene mai meno. Inoltre appaiono interessanti e ben costruite le schede presenti in ogni capitolo, che approfondiscono temi già trattati. Un libro meritevole di attenzione che consiglio di regalare a coloro che sono interessati alla figura dell’imperatore Costantino, alla storia dell’impero romano e della tarda antichità.
Titolo: Fu vero Editto? Costantino e il cristianesimo tra storia e leggenda
Autore: Elena Percivaldi
Editore: Ancora
Pag.: 128
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Finalmente ho sotto gli occhi un documento che tratteggia con dovizia di particolari la figura storica e non leggendaria dell'imperatore Costantino. Mi ripropongo di ritornare su questa pagina con calma e appena posso per comprendere meglio la scelta "politica"che secondo il mio convincimento il Grande imperatore fece per assicurarsi il controllo sull'impero d'Occidente.
Errata corrige.Dovevo scrivere:per assicurarsi il controllo sull'impero che ad Occidente mostrava segni di cedimento.