I faraoni ebrei dell’antico Egitto – Ahmed Osman

 
 
Ahmed Osman, venuto alla luce nella capitale egiziana (Il Cairo) nel 1934, si è laureato in giurisprudenza all’Università del Cairo e successivamente ha conseguito un master in Egittologia. Per professione ha scritto su giornali e composto drammi. Si è stabilito a Londra a partire dal 1964. Tra i suoi volumi è doveroso rammentare Mosé e Akhenaton (pubblicato in lingua italiana nel mese di ottobre del 2015), dove rivela, attraverso ragionamenti logici e prove di fatto, come Mosé e Akhenaton siano da considerare la stessa persona; Mosé: Faraone d’Egitto (1990), nel quale cerca di accertare le coordinate cronologiche dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto e La Casa del Messia (1992).
Ahmed Osman
Di particolare importanza per una piena comprensione del libro I Faraoni ebrei dell’antico Egitto (dato alle stampe in italiano nel mese di maggio del 2005) è sia l’introduzione dell’autore che la nota dell’editore. Nella prima Osman spiega che: «per riassumere brevemente la storia di Giuseppe, possiamo affermare che i suoi legami con l’Egitto dei Faraoni cominciarono quando, all’età di diciassette anni, i suoi fratellastri gelosi lo vendettero come schiavo. Nonostante questo sfortunato inizio, nel tempo riuscì a ricoprire la funzione di visir – effettivo governante dell’Egitto per conto del re – per poi infine mandare a chiamare l’intera famiglia – la tribù di Israele – affinché si stabilisse nel paese. Questi eventi sono stati comunemente datati all’inizio del regno dei re hyksos, pastori asiatici tra cui figuravano gruppi di Semiti e Amorriti, che dopo aver invaso il paese, intorno al 1659 a.C., vi regnarono per oltre un secolo. Giuseppe, dopo aver previsto l’Esodo e strappato la promessa che le sue ossa avrebbero un giorno trovato nuova sepoltura in terra natia, morì in Egitto, dove si narra che la tribù di Israele soggiornò per quattrocentotrenta anni, prima di cadere schiava dell’Egitto. Mosé guidò poi l’Esodo verso la Terra Promessa, e portò con sé le ossa di Giuseppe, per dar loro una nuova sepoltura. La maggior parte degli studiosi moderni colloca l’epoca dell’Esodo intorno al 1200 a.C., più o meno alla fine del lungo regno di Ramses II, il terzo re della Diciannovesima Dinastia, o all’inizio di quello di suo figlio Merneptah. A mio parere, questa tradizionale versione contiene gravi errori e omissioni. Credo che Giuseppe fu per questioni ereditarie tanto principe d’Egitto quanto ultimo patriarca ebreo, e che fu venduto in schiavitù più di due secoli dopo rispetto alla datazione generalmente accettata. A nominarlo visir fu il faraone Thutmosi IV (c. 1413-1405 a.C.), ottavo sovrano della Diciottesima Dinastia, che morì molto giovane, a circa venticinque anni. Gli succedette il figlio, Amenhotep III».
Lo scrittore egiziano, inoltre, afferma che, rifacendosi a diversi scritti, Giuseppe ebbe pure una figlia, oltre ai due maschi di cui parla il testo sacro per eccellenza, cioè la Bibbia. Pensa che Amenhotep III, non tenendo in nessun conto l’opinione dei ministri ufficiali del culto, si unì in matrimonio con questa figlia, facendola divenire la sua Grande Sposa Reale. Il drammaturgo egiziano reputa altamente possibile che Akhenaton e Smenkhkara fossero fratelli, così che Giuseppe risultava il loro nonno materno, mentre Tutankhamon fosse il figlio di Akhenaton, risultando pertanto Giuseppe il suo bisnonno. In conclusione morendo Tutankhamon, Ay diventò monarca e, benché non vi siano prove inconfutabili, Osman lo ritiene il secondo figlio del patriarca ebreo.
Mosé e Akhenaton
Proseguendo dichiara che: «non sono d’accordo con chi fissa la durata del soggiorno degli Israeliti in Egitto in quattrocentotrenta anni: è improbabile che sia riuscita a superare il secolo. Inoltre, colloco l’epoca della Schiavitù e dell’Esodo molto prima rispetto alla datazione generalmente condivisa: la Schiavitù, durante il regno di Horemheb (c. 1335-1308 a.C.), ultimo sovrano della Diciottesima Dinastia; e l’Esodo durante il breve regno di Ramses I (c. 1308-1307 a.C.), primo sovrano della Diciannovesima Dinastia. Non credo poi che, all’epoca dell’Esodo, Mosé abbia portato le ossa di Giuseppe fuori dall’Egitto per seppellirle nuovamente in Palestina. Credo che i resti del patriarca ebreo non abbiano mai lasciato l’Egitto, e che sia possibile trovarli ancora oggi al primo piano del Museo del Cairo in una mummia, ampiamente dimenticata e ignorata, di nome Yuya. Dico subito che nel formulare quest’interpretazione degli eventi, non è mia intenzione insidiare le convinzioni religiose di nessuno. Tanto meno intendo sferrare un attacco alle sostanziali verità della Bibbia o del Corano. Al contrario, semmai spero di dimostrare che, se collocate secondo la logica, certe storie dell’Antico Testamento e del Corano, spesso considerate niente più che miti o allegorie, possono in realtà confermarsi come racconti di eventi storicamente accaduti».
A questo punto il giornalista egiziano desidera indicare le motivazioni per cui questa opera è venuta alla luce. Tutto ha origine nel 1947, anno in cui vi furono i primi attriti tra l’Egitto e lo stato di Israele. Si interrogò per anni sulle ragioni di questa ostilità. Era convinto, e lo è tuttora, che in fondo gli Israeliti prendevano nuovamente possesso della regione che Dio promise loro nel patto di alleanza e non si potevano giudicare nemici e invasori così come lo erano stati gli inglesi ed i francesi. Gli pareva che l’inimicizia tra le due popolazioni fosse come una dolorosa lotta tra famiglie e gruppi rivali, alimentata da vendette o ritorsioni, risalente ad un lontano passato. Continuando racconta che: «A Londra, dove mi guadagnavo da vivere insegnando l’arabo, entrai a far parte della Egypt Exploration Society e mi iscrissi a un corso serale di tre anni sulla storia del mio paese d’origine. Altri tre anni li dedicai allo studio dei geroglifici. Imparai anche l’ebraico, e non fu tanto difficile poiché, come l’arabo, è una lingua semitica. Questi studi mi permisero di investigare in profondità le fonti antiche: ma a ispirarmi la stesura di questo libro sarebbe stato un testo da sempre familiare. Una notte d’inverno di circa quattro anni fa (1983), mi risvegliai nel cuore della notte senza più riuscire a riaddormentarmi. Mi preparai un tè, mi sedetti vicino al camino e mi rimisi a leggere – come facevo spesso e faccio tuttora – la storia di Giuseppe nell’Antico Testamento. Questa volta, però, fui colpito improvvisamente da un passaggio nel Libro della Genesi che in precedenza avevo scorso più volte senza riconoscervi alcun particolare significato. È quello che narra di quando, in tempo di carestia, i fratellastri di Giuseppe intrapresero il loro secondo viaggio in Egitto per acquistare il grano. La prima volta, Giuseppe aveva nascosto la propria identità ai parenti che lo avevano venduto in schiavitù: questa volta invece si rivela, ma dice rassicurante: ‘Non voi mi avete mandato qui, ma Dio: e lui mi ha fatto padre di Faraone…’ Padre di Faraone! Non potevo credere di aver letto quelle parole tante volte in passato senza attribuirgli una vera importanza. Non potevano che essere un appellativo. Eppure, in che senso Giuseppe poteva essere considerato padre di Faraone? Lo stesso Faraone, indipendentemente dall’età, veniva considerato padre di tutta la sua popolazione. Né sembrava probabile che Giuseppe stesse rivendicando un titolo metaforico derivato dalla sua elevata posizione di visir. … La mia reazione istintiva fu che le parole significassero precisamente ciò che dicevano, e i miei pensieri si rivolsero immediatamente a Yuya. Dall’epoca dei sovrani hyksos fino al Nuovo Regno che seguì, Yuya è la sola persona, di cui sappiamo nella storia d’Egitto, a fregiarsi del titolo di ‘padre di Faraone’. Sebbene Yuya pare non fosse di sangue Reale, la sua mummia fu ritrovata nei primi anni del ‘900 nella Valle dei Re, in una tomba scavata fra quelle di due Faraoni. Era mai possibile che il patriarca Giuseppe e questo apparente straniero nella Valle dei Re fossero la stessa persona? Un pensiero – e forse intuizione è una parola più appropriata – che mi fece quasi paura». 
Giuseppe venduto dai fratelli (1855 Konstantin Flavitsky)
Lo scrittore egiziano sottolinea come per tre secoli egittologi e storici avevano cercato di trovare un collegamento fra le personalità dell’Antico Testamento e la storia dell’antico Egitto, confidando di stabilire quanto prima l’identità di qualche personaggio vissuto in un periodo storico ben preciso. Incombenza divenuta perfino più ardua allorquando nella biblioteca di Alessandria, che probabilmente custodiva mezzo milione di testi scritti a mano, si sviluppò un incendio nel corso di un attacco romano al centro abitato nel I secolo a.C. A questo tragico avvenimento fecero seguito numerosi danneggiamenti della stessa ad opera di musulmani, convinti che i volumi di epoca remota fossero sacrileghi. L’autore termina l’introduzione domandandosi: «Perché nessuna di quelle grandi menti (egittologi, storici e biblisti) aveva fatto un collegamento tra Giuseppe (Yussuf nel Corano) e Yuya, i cui nomi erano così simili? D’altra parte io stesso, pur avendo studiato la Bibbia e la storia dell’Antico Egitto per vent’anni, non l’avevo fatto. Perché una intuizione sfuggita a tutti quegli eminenti studiosi veniva concessa a me? … Dimostrare che Giuseppe e Yuya erano la stessa persona sarebbe stata ovviamente una impresa formidabile: avrebbe significato sfidare l’ortodossia accademica, contestare la nozione ormai accettata che la tribù di Israele trascorse quattrocentotrenta anni in Egitto, e l’insistenza della Bibbia sul fatto che Mosé, nel condurre l’Esodo fuori dall’Egitto, portò via le ossa di Giuseppe per poi nuovamente seppellirle in terra di Canaan. Tuttavia sentivo che la mia intuizione nel cuore della notte di un freddo inverno si sarebbe rivelata esatta, sarebbe forse riuscita a spiegare la qualità quasi mistica dell’inimicizia che deturpa da allora i rapporti tra l’Egitto e Israele». 
Esodo ebraico dall’antico Egitto
Invece nella nota dell’editore lo stesso comunica che: «… la principale cura dell’autore è stata quella di riunire una gran quantità di complessi indizi necessari a convincere i biblisti e gli studiosi di egittologia che alcune delle solide convinzioni riguardo agli antichi legami tra la tribù di Israele e l’Egitto dei Faraoni erano infondate. Si aveva la sensazione che le sue tesi, pur essendo destinate a sollevare controversie, meritassero tuttavia di essere proposte a un pubblico più ampio, che le avrebbe certamente apprezzate. Il libro è perciò suddiviso in due sezioni. La prima, raramente interrotta da riferimenti e note a margine, è un racconto lineare del tentativo dell’autore di stabilire come una intuizione, avuta in una notte d’inverno mentre leggeva l’Antico Testamento seduto accanto al camino, fosse assai più che una idea stravagante. La seconda contiene la maggior parte delle fonti, delle note e delle argomentazioni accademiche che, se certamente affascinanti per gli specialisti, sarebbero però apparse un po’ oscure alla maggioranza dei lettori». 
Nel libro Osman richiama alla memoria dei lettori l’esistenza del patriarca ebreo Giuseppe, ceduto in cambio di denaro dai fratelli e che, diventato adulto in Egitto, divenne visir, cioè l’effettivo governante del Paese delle Due Terre per conto del faraone. Però fino ad alcuni anni fa la vita di Giuseppe, raccontata sia nella Bibbia che nel Corano, non era stata ancora studiata accuratamente e non aveva una sistemazione storica ben determinata. Ora tuttavia, prendendo le mosse da quei due testi degni di rispetto e dall’attenta valutazione di diversi reperti archeologici di grande valore, il drammaturgo egiziano è stato in grado, per buona sorte, di descrivere l’originaria verità, dimostrando che i sovrani Akhenaton, Smenkhkara e Tutankhamon altro non erano che i discendenti del patriarca Giuseppe.
Di grande utilità sono una discreta bibliografia, un apparato fotografico davvero corposo, l’elenco delle illustrazioni, località, personaggi, popoli, testi ed autori citati nel volume, posti alla fine del saggio. Un libro meritevole di attenzione che si consiglia di leggere e regalare a coloro che sono interessati alla figura del patriarca ebreo Giuseppe e a tre faraoni della XVIII dinastia, Akhenaton, Smenkhkara e Tutankhamon, oltre che più in generale alla storia e civiltà dell’Antico Egitto.
 
Titolo: I faraoni ebrei dell’antico Egitto
Autore: Ahmed Osman
Editore: Mondo Ignoto
Pag. 202

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