Cristoforo Gorno ha creato col proprio ingegno e presenta su Rai Storia, a partire dal 2015, programmi storici di grande diffusione e notorietà come Cronache dall’Antichità, Cronache dal Medioevo, Cronache dal Rinascimento, Cronache dal Mito e Cronache dall’Impero. Nel 2019 ha dato alle stampe con Rai Libri il romanzo storico Io sono Cesare. Memorie di un giocatore d’azzardo.
Di particolare importanza per una piena comprensione del testo Cronache dall’Antichità (pubblicato nel mese di settembre del 2020) è l’introduzione dell’autore dal titolo Perché. Nella stessa Cristoforo Gorno afferma che: «In Grecia per lavoro. Tutte le Tv mandano immagini dei profughi di Idomeni, piccolo paese tra Grecia e Macedonia del Nord, snodo lungo la rotta balcanica che dal vicino oriente porta all’Europa. I profughi vengono dalla Siria, hanno attraversato linee di combattimento, frontiere, catene montuose, bracci di mare, hanno lasciato indietro qualcuno, qualcun altro lo hanno perso per strada. Ora si trovano lì, in una sorta di terra di nessuno, respinti da tutte le parti, è inverno e nei Balcani fa freddo. Allo stremo, provano a passare il confine guadando a piedi torrenti gelidi, con l’acqua fino alla vita; tra loro molte madri, che tengono stretti i figli, sfinite dalla doppia fatica di non spaventarli cercando nello stesso tempo di forzare il confine in condizioni disperate. La sera, in albergo, in un libro di miti greci che porto sempre con me in questi viaggi, mi imbatto in una poesia di Simonide su Danae. Piccolo ripasso: un oracolo dice al re Acrisio che il figlio di sua figlia Danae lo ucciderà. Allora lui fa rinchiudere la ragazza. Zeus, in forma di pioggia d’oro, la feconda: nasce il piccolo Perseo. Il vecchio re decide di sbarazzarsi di figlia e nipote, li fa imprigionare in una cassa di legno e li molla in mare. Il poeta Simonide sceglie questo momento: Danae chiusa nella cassa è lacerata, come le madri di Idomeni, tra il terrore e la necessità di non trasmetterlo al figlio.
“O figlio, quale pena soffro! Il tuo cuore non sa; e profondamente tu dormi così raccolto in questa notte senza luce di cielo, nel buio del legno serrato da chiodi di rame. E l’onda lunga dell’acqua che passa sul tuo capo, non odi, né il rombo dell’aria: nella rossa vestina di lana, giaci: reclinato al sonno il tuo bel viso. Se tu sapessi quello che è da temere, il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce. Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete abbia il mare; ed il male senza fine, riposi. Un mutamento avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre; e qualunque parola temeraria io urli, perdonami; la ragione m’abbandona[1]”.
Capita di interrogarsi sul perché oggi valga la pena occuparsi del mondo antico, in particolare di quello greco e romano, che rappresenta le nostre radici più prossime, di domandarsene il senso. Leggendo Simonide, alzando di tanto in tanto gli occhi sulle immagini in Tv, che in questi anni hanno continuato a ripetersi lungo altri confini, mari e coste, è sembrato che la risposta diventasse chiara: il mondo antico fornisce storie che emergono dalle nostre radici più remote, parole che rompono il silenzio dei millenni, che mantengono intatto il loro significato e che per questo prendono forza. Danae, nella cassa galleggiante, è ogni madre in difficoltà che maschera le paure per proteggere i figli. Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone prima della partenza per la Guerra di Troia, è ogni adolescente che paga le colpe degli adulti. Antigone, figlia di Edipo, che ignora i divieti per dare sepoltura al fratello Polinice, è il modello di chi sfida le leggi umane per obbedire a un’etica assoluta, rispondendone, come lei, con la vita. Il valore di archetipo non spetta solo ai miti, anche le vicende storiche ne hanno creati: l’assassinio di Cesare alle Idi di marzo è il termine di paragone per i delitti politici e i complotti a venire, dalla congiura dei Pazzi nella Firenze rinascimentale alla morte di Kennedy a Dallas nel 1963. Tra noi e gli antichi c’è una frattura: credevano in divinità a cui non crediamo più, parlavano lingue perdute, le città e le case che abitavano sono rovine sparse. Ma le loro vite, le loro leggende, filtrate da decine e decine di generazioni, ci parlano ancora».
Si ritiene che quanto detto nell’introduzione dall’autore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità dell’opera presa in esame. Di grande utilità risulta la nota dell’autore. Il linguaggio è semplice, scorrevole e comprensibile. Il rigore storico di Cristoforo Gorno non viene mai meno. Un libro meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e/o regalare a coloro che sono appassionati di storia antica.
[1] Simonide di Ceo, Il lamento di Danae, traduzione di Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003.
Titolo: Cronache dall’Antichità
Autore: Cristoforo Gorno
Editore: Rai Libri
Pagg. 288