Il Pange lingua (‘Canta, o mia lingua’) è un inno in latino. Venne composto da san Tommaso d’Aquino.[1] Era un religioso dell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani). Questo testo è inserito in diverse composizioni richieste dal Papa Urbano IV[2]. Il Pontefice, infatti, avendo deciso di istituire la Festa del Corpus Domini (Orvieto, 1264), aveva necessità dei testi per la Liturgia delle Ore e per la Messa della Solennità cit..Tale ricorrenza religiosa fu preceduta da un evento straordinario avvenuto a Bolsena l’anno precedente. La prima riga del Pange lingua richiama una sequenza latina di Venanzio Fortunato[3]: “Pange lingua gloriosi proelium certaminis”[4]. La struttura di questo inno, però, è radicalmente diversa da quella di san Tommaso. A tutt’oggi, il lavoro del teologo domenicano esorta i fedeli a contemplare l’istituzione dell’Eucaristia[5]. L’A. sollecita a celebrare il grande Mistero del glorioso Corpo e del prezioso Sangue di Cristo versato per la Redenzione del mondo. Proclama la Presenza reale di Gesù nelle specie consacrate. Spinge verso l’adorazione del Mistero. E conclude con una esclamazione rituale trinitaria.
1263 (XIII secolo). L’inizio della storia
Per comprendere l’origine del Pange Lingua, è necessario ricordare un evento straordinario avvenuto a Bolsena. Si tende a collocarlo nei mesi estivi del 1263. In quel periodo era di passaggio un sacerdote teutonico. Più tardi, la tradizione attribuì un nome, Pietro, e una città d’origine, Praga.[6] Il presbitero aveva dubbi di fede sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Un giorno, mentre stava celebrando nella Grotta di Santa Cristina[7], avvenne un fatto improvviso.[8] Al momento della consacrazione, fuoriuscì del sangue dall’ostia. Quest’ultimo, si riversò sul corporale, sui marmi del pavimento, sui gradini dell’altare. Il prete, dopo la celebrazione, si recò dal Papa Urbano IV, che risiedeva a Orvieto con la sua Corte Pontificia.[9] Riferì l’accaduto. Il Pontefice, dopo averlo ascoltato, decise di inviare a Bolsena Giacomo Maltraga, vescovo di Orvieto[10]. Doveva svolgere i necessari accertamenti e prendere quanto era stato segnato dal sangue. Questi, adempì al compito ricevuto. Le reliquie furono conservate a Orvieto nella cattedrale di Santa Maria Prisca (l’attuale Duomo non era stato ancora costruito). Del prete teutonico le cronache non riferiscono più nulla.
Le fonti che riguardano l’evento
Il fatto divenne presto noto. Sono diversi i documenti che ne attestano la storicità. La prima testimonianza scritta della storia del miracolo sono le didascaliae che accompagnano gli affreschi di Ugolino di Prete Ilario[11] nella cattedrale di Orvieto scritte nel 1362.
Le prime raffigurazioni sono rappresentate dai pannelli smaltati del reliquario eseguiti da Ugolino da Siena[12] nel 1338 (o 1337?) dove appare chiaramente un Papa nell’atto di esporre solennemente un lino sacro nell’unico pannello riprodotto dal Lazzarini[13].
Sempre con rif. al XIV secolo si conserva una Cronaca orvietana. In questo testo il prodigio viene già identificato come Miraculo del Corpus Domini. Dello stesso periodo della Cronaca è una Sacra Rappresentazione riguardante l’evento di Bolsena (allestita ogni anno in Orvieto).
Esistono anche due narrazioni ecclesiastiche: il Cathalogus Sanctorum di Pietro de’ Natali[14], scritto nel 1370ca, e la Bolla Quamvis Cum (‘Sebbene Con”) di Gregorio XI[15], emanata il 25 giugno 1377 Questa, concesse nuove indulgenze per il Duomo di Orvieto, e presentò un breve resoconto del miracolo di Bolsena.
Dai testi cit. risulta che l’evento prodigioso era noto anche al di fuori di Bolsena e di Orvieto, e che esisteva un collegamento con l’istituzione della Solennità del Corpus Domini.
Significative per la storicità delle reliquie custodite in Orvieto rimangono pure le pergamene che fin dall’origine le accompagnano (secoli XIII-XIV). È da citare, inoltre, il testo dal titolo Chronica (III, Lugduni, 1543, tit. 19, cap. 13) di sant’Antonino (Pierozzi) da Firenze. Quest’ultimo, era un frate domenicano divenuto in seguito arcivescovo di Firenze (1389-1459).[16]
Sul miracolo di Bolsena si ricorda anche la Bolla Salvator Noster di Sisto IV[17] (emanata da Roma il 23 luglio 1477), con la quale si concedevano nuove indulgenze e si faceva rif. all’avvenimento di Bolsena in relazione alla solennità del Corpus Domini; il Breve di Gregorio XIII[18] del 20 marzo 1577; un brano dei Commentarii di Papa Pio II[19] che andò a Bolsena nel 1462, nel quale è ricordato il miracolo come causa della Festa del Corpus Domini.
Alcuni fatti riguardanti Urbano IV precedenti il pontificato
A quanto riportato, occorre aggiungere un ulteriore dato: l’esperienza ecclesiale del futuro Urbano IV. Quest’ultimo si chiamava Jacques Pantaléon. Era nato a Troyes (nel nord-est della Francia). Aveva studiato diritto e teologia a Parigi. Divenne poi canonico a Laon e , in seguito, arcidiacono di Liegi. Proprio nella diocesi belga era stata istituita (1247) la festa liturgica del Corpus Domini. La decisione venne adottata dal Sinodo dei vescovi presieduto da mons. Robert de Thourotte[20].
Tale avvenimento costituiva la risposta della Chiesa locale a quanti dubitavano riguardo alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. In questo movimento eterodosso era emersa la figura di Berengario di Tours.[21] Direttore della Scuola Cattedrale di Tours, criticò la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia. Divulgò la sua dottrina (1076ca) con il trattato De sacra coena ove si limitò a definire l’Eucaristia simbolo o segno del Corpo di Cristo.
Berengario venne condannato nel 1078 dal Concilio (non ecumenico) di Roma, presieduto dal Papa Gregorio VII[22]. In seguito, il processo di transustanziazione fu proclamato dogma di fede nel 1215 (IV Concilio Lateranense, presieduto da Innocenzo III[23]).
Malgrado gli interventi ecclesiastici, permaneva in più ambienti delle diverse Chiese locali incertezza sulla reale Presenza di Cristo nell’Eucaristia. Ne derivava un indebolimento del culto e una partecipazione poco sentita a specifici momenti liturgici, mentre si rischiavano nuovi orientamenti di pensiero eterodossi.
In tale contesto, avvenne un fatto. All’inizio del Duecento, la badessa delle Agostiniane di Mont-Cornillon (Liegi), di nome Julienne (Giuliana)[24], comunicò di aver ricevuto una visione di Cristo. Il Signore le aveva chiesto di adoperarsi per far istituire la Festa liturgica del Suo Corpo e Sangue. Si trattava, in definitiva, di rende più viva nella fede la vita ecclesiale, e di riparare ai peccati commessi contro il sacramento dell’Eucarestia.
La religiosa si attivò. Ricevette un deciso sostegno anche da Ève (Eva) di Cornillon (o di San Martino).[25] Quest’ultima, con voto di castità, viveva reclusa in una cella presso la collegiata di San Martino a Liegi. Il suo culto come santa fu confermato da Papa Leone XIII[26] nel 1902. Giuliana fece pressioni negli ambienti ecclesiastici del tempo. Al suo direttore spirituale, don Giovanni di Losanna, canonico a Liegi nella chiesa di San Martino, propose di avvicinare teologi ed ecclesiastici per chiedere l’istituzione della Festa. Scrisse inoltre una petizione (con esito positivo) al domenicano cardinale, esegeta biblico, Hughes de Saint-Cher (in italiano anche Ugo di Santo Caro[27]), all’arcidiacono di Liegi, Pantaléon (cit), futuro Urbano IV; a Robert de Thourotte, vescovo di Liegi (cit.). Il futuro Pontefice la sostenne presso de Thourotte. Si arrivò alla fine alla proclamazione della Festa: “ad confutandam haereticorum insania” (per confutare l’insania degli eretici)”.[28]
L’iniziativa del Papa Urbano IV
Quanto annotato in precedenza attesta la fede di Urbano IV nella Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Si comprende meglio, in tal modo, un suo provvedimento. L’11 agosto del 1264, con la Bolla Transiturus de hoc mundo (‘Quando stava per lasciare questo mondo’), il Papa estese a tutta la Chiesa la Solennità del Corpus Domini, già inserita nel calendario liturgico della diocesi di Liegi (1247; cit.). In seguito il Pontefice celebrò a Orvieto la nuova ricorrenza liturgica (8 settembre 1264).
Sul piano storico, l’evento si colloca in un contesto articolato. La città cit. fu elevata da Urbano IV (1262- 1264) Sede Apostolica della Curia. Il Pontefice, eletto a Viterbo (chiesa di Santa Maria in Gradi), non si insediò mai a Roma, per eludere Manfredi di Svevia[29] che aveva scomunicato.[30] In tal modo, Orvieto divenne il centro geopolitico della Chiesa in un periodo segnato da più realtà. Qui si ricorda: il contrasto tra Chiesa e Impero; il confronto tra Chiesa di Roma e Chiesa d’Oriente; lo scontro tra Chiesa cattolica e movimenti eterodossi; le sollecitazioni degli Ordini Mendicanti all’interno della Chiesa stessa; il confronto tra Genova e Venezia, legate rispettivamente all’Impero e al Papato.
La Bolla Transiturus de hoc mundo (1264)
Si riporta qui di seguito il testo in italiano della Bolla Transiturus de hoc mundo[31]. Le note a fine pagina sono state aggiunte da chi scrive per far meglio comprendere alcuni passaggi.
“Urbano Vescovo, servitore dei servi di Dio, ai venerati fratelli patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri prelati, salute e benedizione apostolica.
Cristo, il nostro Salvatore, stando per partire da questo mondo per ascendere al Padre, poco prima della Sua Passione, nell’Ultima Cena, istituì, in memoria della Sua morte, il supremo e magnifico sacramento del Suo Corpo e Sangue, dandoci il Corpo come cibo e il Sangue come bevanda.
Infatti, ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo questo calice, annunciamo la morte del Signore.[32]
Egli ha detto agli apostoli istituendo questo sacramento: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19), in modo che questo eccelso e venerabile sacramento fosse per noi il principale e il più insigne ricordo del grande amore con cui Egli ci ha amato. Memoriale[33] mirabile e meraviglioso, dolce e soave, carissimo e prezioso, in cui si rinnovano i prodigi e le meraviglie; in esso sono tutte le delizie e i sapori più delicati, nel quale si gusta la stessa dolcezza del Signore[34] e, soprattutto, si ottiene la forza per la vita e per la nostra salvezza.
È un memoriale dolcissimo, sacrosanto e salutare in cui rinnoviamo la nostra gratitudine nel ricordo della nostra redenzione, ci allontaniamo dal male, ci consolidiamo nel bene e progrediamo nell’acquisizione delle virtù e della grazia, siamo confortati dalla presenza corporea del nostro stesso Salvatore, perché, in questa commemorazione sacramentale di Cristo, è presente Lui in mezzo a noi, in modo diverso, ma nella sua vera sostanza.[35]
Nell’imminenza della Sua Ascensione al cielo disse agli apostoli e ai loro successori: “Ecco, io sono sempre con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,10) e li consolò con la benevola promessa che sarebbe rimasto con loro anche con la Sua presenza corporale.
Memoriale veramente degno di non essere dimenticato, con il quale ricordiamo che la morte è stata vinta, che la nostra rovina è stata distrutta dalla morte di Colui che è la stessa vita, che un albero pieno di vita è stato innestato su un albero di morte per produrre frutti di salvezza!
È un memoriale glorioso che riempie di gioia salvifica l’anima dei fedeli, mentre con l’infusione della letizia somministra lacrime di devozione.
Siamo pieni di gioia al pensiero della nostra liberazione, e commemorando la Passione del Signore, per la quale siamo stati salvati, a stento possiamo trattenere le lacrime.[36]
In questa sacrosanta celebrazione, sono in noi gioia mista a lacrime, perché gioiamo piangendo pii, e lacrimiamo gioendo devoti, avendo liete lacrime e letizia piangente. Infatti anche il cuore, invaso di grande gioia, stilla dagli occhi dolci lacrime.
Infinita grandezza dell’amore divino, immensa e divina pietà, copiosa effusione celeste!
Dio ci ha dato tutto nel momento in cui ha sottomesso ai nostri piedi[37] e ci ha affidato il dominio supremo di tutte le creature sulla terra. Nobilita e sublima la dignità degli uomini attraverso il ministero degli spiriti più eletti. Poiché tutti sono stati destinati a esercitare il ministero al servizio di coloro che hanno ricevuto l’eredità della salvezza.
Ed essendo stata così vasta la munificenza del Signore nei nostri confronti, volendo mostrarci ancora di più il Suo infinito amore, nel Suo abbassamento[38] si offrì Egli stesso e superando le più grandi generosità e ogni misura di carità, si diede come cibo soprannaturale.[39]
Liberalità singolare e ammirevole, nella quale il donatore viene come dono, e il dono e colui che dà sono la stessa realtà!
È davvero grandezza infinita quella di colui che si dà e accresce la sua disposizione affettuosa a tal punto che ciò, distribuito in un gran numero di doni, alla fine sovrabbonda e ritorna al donatore, tanto maggiore quanto più si è diffuso.
Pertanto, il Salvatore si è dato come cibo; volle che, nello stesso modo in cui l’uomo era stato sepolto nella rovina dal cibo proibito, vivesse di nuovo per un cibo benedetto; l’uomo cadde per il frutto di un albero di morte, risuscita per un pane di vita.
Da quell’albero pendeva un cibo mortale, in questo c’è un cibo di vita; quel frutto ha portato il male, questo la guarigione; un appetito malvagio ha fatto il male e una fame diversa genera il beneficio; la medicina arrivò dove la malattia aveva invaso; da dove era partita la morte, venne la vita.
Di quel primo cibo fu detto: “Il giorno in cui ne mangerai morirai” (Gn 2,17); del secondo è stato scritto: “Chiunque mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,52).
È un alimento che ristora e nutre veramente, sazia al massimo grado non il corpo, ma il cuore; non la carne, ma lo spirito; non i visceri, ma la mente.
L’uomo aveva bisogno del cibo spirituale e il misericordioso Salvatore fornì, con attenzione colma di pietà, il cibo dell’anima con la migliore e più nobile prelibatezza.
La generosa liberalità salì al culmine del bisogno e la carità eguagliò la convenienza, così che la Parola di Dio, che è prelibatezza e cibo per le creature razionali, fattosi carne, si diede come cibo alle creature stesse, cioè alla carne e al corpo dell’uomo.
L’uomo, quindi, mangia il pane degli angeli[40] di cui il Salvatore disse: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda” (Gv 6,56).
Questo cibo viene preso, ma non viene consumato, viene mangiato, ma non viene trasformato, perché non diventa colui che lo mangia, ma se viene ricevuto con dignità, rende colui che lo riceve simile a Lui.[41]
Eccelso e venerabile sacramento, amabile e adorato, sei degno di essere celebrato, esaltato con la lode più commossa, dai canti ispirati[42], dalle fibre più intime dell’anima, dai doni più devoti, sei degno di essere ricevuto dalle anime più pure!
Memoriale glorioso, dovresti essere tenuto tra i più profondi battiti del cuore, impresso indelebilmente nell’anima, trattenuto nelle intimità dello spirito, onorato con la pietà più assidua e devota![43]
Dobbiamo celebrare la continua memoria di un tale memoriale, affinché di Lui, di cui conosciamo lo stesso memoriale, siamo sempre memori, perché Colui di cui contempliamo il dono e la ricchezza frequentemente, questi è ospitato più strettamente nel profondo della memoria.
Sebbene questo santo sacramento venga celebrato ogni giorno nel solenne rito della Messa[44], tuttavia RITENIAMO CHE SIA UTILE E DEGNO celebrare, almeno una volta all’anno, una festa più solenne, soprattutto per confondere e confutare l’ostilità degli eretici.[45]
Difatti il Giovedì Santo, nello stesso giorno in cui Cristo ha istituito questo Sacramento, la Chiesa Universale, impegnata nella riconciliazione dei fedeli, nella benedizione del crisma, nell’adempimento del comandamento della lavanda dei piedi e in molte altre sacre crerimonie, non può prestare piena attenzione alla celebrazione di questo grande sacramento.
Allo stesso modo in cui la Chiesa guarda ai santi, che sono venerati durante l’anno, e sebbene nelle Litanie, nelle Messe e in altre funzioni, la loro memoria si rinnovi con grande frequenza, tuttavia ricorda il loro dies natalis in alcuni giorni, con più solennità e funzioni speciali.
E poiché in queste feste forse i fedeli omettono alcuni dei loro doveri a causa di negligenza o occupazioni mondane, o anche a causa della fragilità umana, la Santa Madre Chiesa stabilisce un giorno specifico per la commemorazione di tutti i santi, fornendo in questa festa comune ciò che è stato trascurato in quelle particolari.
Soprattutto, quindi, è necessario adempiere a questo dovere con l’ammirevole Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, che è gloria e corona di tutti i Santi, in modo che risplenda in una speciale festività e solennità e che ciò che forse è stato trascurato nelle altre celebrazioni della Messa, per quanto riguarda la solennità, sia supplito con scrupolosa diligenza;
e così i fedeli, mentre questa festività si avvicina, entrando in se stessi, pensando al passato con attenzione, umiltà di spirito e purezza di coscienza, suppliscano a ciò che avessero compiuto in modo difettoso nel partecipare alla Messa, forse impegnati con il pensiero negli affari mondani o più ordinariamente a causa della negligenza e debolezza umana.
In una certa occasione ABBIAMO ANCHE SENTITO DIRE che, quando stavamo svolgendo un ufficio più modesto, Dio aveva rivelato ad alcuni cattolici che era necessario celebrare questa festa in tutta la Chiesa[46]; pertanto abbiamo ritenuto opportuno stabilirlo in modo tale che, in modo dignitoso e ragionevole, la fede cattolica sia rivitalizzata ed esaltata.
Pertanto, per rafforzare la grandezza della fede cattolica, ABBIAMO DECISO che ogni anno venga celebrata una festa speciale e solenne di un così grande Sacramento, oltre alla commemorazione quotidiana che la Chiesa ne fa, e stabiliamo un giorno fisso per esso, il primo giovedì dopo l’ottava di Pentecoste.
STABILIAMO anche che nello stesso giorno si riuniscano per questo fine folle di fedeli[47] nelle chiese devote, con generosità di affetto, e tutto il clero, e il popolo, gioioso, intoni canti di lode, che le labbra e i cuori siano pieni di santa gioia; canti la fede[48], sussulti la speranza, esulti la carità; la devozione palpiti, esulti la purezza; possano i cuori essere sinceri; possano tutti unirsi con diligente animo e pronta volontà, impegnati a preparare e celebrare questa festa.
E voglia il cielo che il fervore infiammi le anime di tutti i fedeli al servizio di Cristo, che attraverso questa festa e altre opere di bene, aumentando ogni volta i propri meriti davanti a Dio, dopo questa vita, si dia Lui stesso come ricompensa per tutti, poiché per ognuno è stato offerto come cibo e come prezzo di riscatto.
Pertanto vi raccomandiamo ed esortiamo tutti nel Signore e attraverso questa Bolla Apostolica vi ORDINIAMO, in virtù della Santa Obbedienza, con rigoroso precetto, imponendolo come remissione dei vostri peccati, di celebrare devotamente e solennemente questa festa così esaltata e gloriosa e di impegnarvi con tutta l’attenzione a celebrarla in tutte le chiese delle vostre città e diocesi, il menzionato giovedì di ogni anno, con le nuove letture, responsori, versi, antifone, salmi, inni e orazioni proprie della stessa, che includiamo nella nostra Bolla insieme alle parti proprie della Messa;[49]
vi ORDINIAMO anche di esortare i vostri fedeli, con raccomandazioni salutari direttamente o attraverso altri, la domenica che precede il giovedì menzionato, in modo che con una vera e pura confessione, con generose elemosine, con preghiere attente e assidue e altre opere di devozione e di pietà, si preparino in modo da poter partecipare, con l’aiuto di Dio, a questo prezioso Sacramento e possano, il detto giovedì, riceverlo con riverenza e ottenere così, con il Suo aiuto, un aumento di grazia.
E desiderando incoraggiare i fedeli con doni spirituali a celebrare con dignità una così grande festa, GARANTIAMO a tutti coloro che, pentiti e confessati veramente, partecipino alle Lodi di questa festa, nella chiesa in cui è celebrata, cento giorni di indulgenza;
altrettanto per la Messa e, allo stesso modo, per coloro che partecipano ai primi Vespri di questa stessa festa e ai secondi; e a tutti coloro che partecipano all’Ufficio di Prima, Terza, Sesta, Nona e Compieta, quaranta giorni per ogni ora.
Infine, a tutti coloro che partecipano alle Lodi e ai Vespri, alla Messa e alla recita dell’Ufficio durante l’ottava, CONCEDIAMO cento giorni di indulgenza per ogni giorno confidando nella misericordia di Dio Onnipotente e nell’autorità dei Suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Orvieto l’11 agosto del 1264, terzo anno del Nostro pontificato.
URBANUS PP. IV.
Urbano IV e san Tommaso d’Aquino
Oltre a far preparare la Bolla Transiturus de hoc mundo, il Papa Urbano IV si preoccupò anche dei testi per la Liturgia delle Ore e per la Messa della Festività. Occorreva, a questo punto, trovare una persona preparata in teologia dogmatica, capace di impostare l’intero lavoro, di porlo in sintonìa con le iniziative liturgiche già esistenti in materia eucaristica, e di arrivare a un risultato omogeneo e teologicamente ineccepibile. Tra i Domenicani che risiedevano in quel momento a Orvieto, la persona più indicata rimaneva san Tommaso d’Aquino (cit.). Questo frate aveva infatti già insegnato a Parigi dal 1252 al 1259. In seguito, tra il 1259 e il 1268 raggiunse nuovamente l’Italia, impegnato nell’insegnamento e negli scritti teologici. Venne prima assegnato a Orvieto, come lettore (responsabile per la formazione continua della comunità). Qui, ebbe il tempo per completare la stesura della Summa contra Gentiles (iniziata nel 1258) e della Expositio super Iob ad litteram (1263-1265).[50] Proprio con rif. a questo religioso esiste una cronaca scritta da Bartolomeo Fiadoni, noto come Tolomeo o Ptolomeo da Lucca[51]:
“Per ordine dello stesso papa, fra Tommaso compose anche l’Ufficio per il Corpus Domini, la seconda commissione da parte del papa a cui ho accennato sopra. Tommaso scrisse l’Ufficio per il Corpus Domini per intero, incluse le lezioni e tutte le parti da recitare di giorno o di notte; come anche la Messa e tutto ciò che in quel giorno si deve cantare. Il lettore attento si accorgerà che vi ricorrono tutte le figure simboliche dell’Antico Testamento, collegate in modo chiaro e appropriato al sacramento dell’Eucaristia”.[52]
Anche Guglielmo di Tocco[53] (discepolo di san Tommaso negli anni 1272-1274), rifacendosi probabilmente a Tolomeo (cit.), elenca l’Ufficio del Corpus Domini tra le opere di Tommaso:
“Egli scrisse l’Ufficio del Corpus Domini su richiesta di papa Urbano, presentando tutte le figure dell’Antico Testamento relative a questo sacramento e sintetizzando le verità che appartengono alla grazia nuova”.[54]
In tale contesto, l’inno del Pange Lingua assume una valenza particolare perché è esortazione, è adorazione, ma è anche – di fatto – ringraziamento e sequela.
L’aspetto dell’esortazione si collega direttamente alle sollecitazioni dell’apostolo Paolo. Quest’ultimo, nella Lettera ai Colossesi (3,16) scrive: “La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori”. Tale orientamento paolino verrà recepito da molti autori nelle diverse fasi storiche della Chiesa. Nel Pange lingua, san Tommaso lo applica alla Chiesa che glorifica il Corpo del Signore (Corpus Domini).
L’adorazione in san Tommaso è prima di tutto consapevolezza della Presenza divina.[55] Senza tale convinzione il culto perde la spontaneità e il desiderio di un incontro diretto con Gesù, e si riduce a un formalismo di tipo protocollare. Non è quindi un ordine o la paura che deve spingere il fedele verso l’Ostia consacrata, ma è l’amore che apre all’intimità divina.
Il ringraziamento, che costituisce una venatura spirituale che attraversa tutte le opere liturgiche di san Tommaso, riconduce a un fatto preciso: è Dio che si è autorivelato e che ha realizzato il Disegno Redentivo. L’essere umano non può salvarsi da solo. Senza la Grazia sacramentale lo sforzo umano incontra sempre il limite della creaturalità e dell’immanenza.
La sequela è legata a un impegno. L’Istituzione dell’Eucaristia non è una manifestazione della potenza divina fine a se stessa, ma è cibo per il pellegrino in esodo sulla terra. In tal senso, la Grazia che si riceve partecipando alla Comunione è energia che spinge a testimoniare il Risorto e a vivere nella pace e nell’amore con i fratelli.
Il testo del Pange lingua in latino
Tenendo conto di quanto fin qui annotato, è utile riportare nella versione latina l’inno del Pange lingua.
“Pange, lingua,[56] gloriósi / Córporis mystérium, /
Sanguinisque pretiòsi, / quem in mundi pretium /
fructus ventris generosi, / Rex effudit Gentium. /
Nobis datus, nobis natus / ex intacta Virgine, /
e in mundo conversatus, / sparso verbi semine, /
sui moras incolatus / miro clausit ordine. /
In supremae nocte cenae / recumbens cum fratribus,
observata lege plene /cibis in legalibus /
cibum turbae duodenae / se dat suis manibus. /
Verbum caro, panem verum / verbo carnem efficit: /
fitque sanguis Christi merum, / et si sensus deficit, /
ad firmandum cor sincerum / sola fides sufficit. /
Tantum èrgo Sacramentum / venerèmur cernui: /
et antiquum documentum / novo cedat ritui:
praèstet fides supplementum / sènsuum defectui.
Genitori, Genitoque / làus et jubilàtio, /
salus, honor, virtus quòque / sit et benedictio:
procedenti ab utroque / compar sit laudatio”.
Amen.
Il testo del Pange lingua in italiano
Si riporta adesso la traduzione italiana del Pange Lingua così che ogni lettore possa comprendere le affermazioni dell’inno.
“Canta, o mia lingua, il Mistero del Corpo glorioso /
e del Sangue prezioso /che il Re delle nazioni, /
frutto benedetto di un grembo generoso, / sparse per il riscatto del mondo. /
Si è dato a noi, nascendo per noi / da una Vergine purissima, /
visse nel mondo spargendo / il seme della Sua Parola /
e chiuse in modo mirabile / il tempo della sua dimora quaggiù. /
Nella notte dell’Ultima Cena, / sedendo a mensa con i suoi fratelli, /
dopo aver osservato pienamente / le prescrizioni della legge, /
si diede in cibo agli apostoli / con le Sue proprie mani. /
Il Verbo fatto carne cambia con la Sua Parola / il pane vero nella Sua Carne /
e il vino nel Suo Sangue, / e se i sensi vengono meno, /
la fede basta per rassicurare / un cuore sincero. /
Adoriamo, dunque, prostrati / un sì gran Sacramento; /
l’antica legge ceda alla nuova, / e la fede supplisca /
al difetto dei nostri sensi. / Gloria e lode, /
salute, onore, / potenza e benedizione /
al Padre e al Figlio: / pari lode sia allo Spirito Santo, /
che procede da entrambi.
Amen.
Un commento di san Giovanni Paolo II
Sono diversi gli autori che hanno commentato il Pange Lingua. Tra questi, il Papa san Giovanni Paolo II[57]. Al riguardo, si riporta qui di seguito una sua omelia del 12 aprile 2001 (Giovedì Santo, Santa Messa In Coena Domini).
- “In supremae nocte Cenae / recumbens cum fratribus… – La notte dell’ultima Cena, / sedendo a mensa coi suoi…, / con le proprie mani / dà se stesso in cibo ai Dodici”.
Con queste parole il suggestivo inno del “Pange lingua” presenta l’Ultima Cena, nella quale Gesù ci ha lasciato il mirabile Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue.
Le letture appena proclamate ne illustrano il senso profondo. Esse compongono quasi un trittico: presentano l’istituzione dell’Eucaristia, la sua prefigurazione nell’Agnello pasquale, la sua traduzione esistenziale nell’amore e nel servizio fraterno. È stato l’apostolo Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, a ricordarci quanto Gesù ha fatto “nella notte in cui veniva tradito”.
Al racconto del fatto storico, Paolo ha aggiunto un proprio commento: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11, 26).
Il messaggio dell’Apostolo è chiaro: la comunità che celebra la Cena del Signore attualizza la Pasqua. L’Eucaristia non è la semplice memoria di un rito passato, ma la viva ripresentazione del gesto supremo del Salvatore. Da questa esperienza la comunità cristiana non può non sentirsi spinta a farsi profezia del mondo nuovo, inaugurato nella Pasqua.
Contemplando stasera il mistero d’amore che l’Ultima Cena ci ripropone, restiamo anche noi in commossa e silenziosa adorazione.
- “Verbum caro, / panem verum verbo carnem efficit… – Il Verbo incarnato / con la sua parola trasforma / il vero pane nella sua carne…”.
È il prodigio che noi sacerdoti tocchiamo ogni giorno con le nostre mani nella santa Messa!
La Chiesa continua a ripetere le parole di Gesù, e sa di essere impegnata a farlo fino alla fine del mondo. In virtù di quelle parole si realizza un mirabile cambiamento: restano le specie eucaristiche, ma il pane e il vino diventano, secondo la felice espressione del Concilio di Trento, “veramente, realmente e sostanzialmente” il Corpo e il Sangue del Signore.
La mente si sente smarrita di fronte a così sublime mistero. Tanti interrogativi s’affacciano al cuore del credente, che tuttavia trova pace nella parola di Cristo.
“Et si sensus deficit / ad firmandum cor sincerum sola fides sufficit – Se il senso si smarrisce, / la fede sola basta a un cuore sincero”.
Sorretti da questa fede, da questa luce che illumina i nostri passi anche nella notte del dubbio e della difficoltà, noi possiamo proclamare:
“Tantum ergo Sacramentum / veneremur cernui – Così grande Sacramento / veneriam, dunque, prostrati”.
- L’istituzione dell’Eucaristia si riallaccia al rito pasquale della prima Alleanza, che ci è stato descritto nella pagina dell’Esodo poc’anzi proclamata: vi si parla dell’agnello “senza difetto, maschio, nato nell’anno” (Es 12,6), il cui sacrificio avrebbe liberato il popolo dallo sterminio: “Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio” (12,13). L’inno di san Tommaso commenta:
“Et antiquum documentum / novo cedat ritui – ceda ormai la vecchia Legge / al Sacrificio nuovo”. Giustamente, perciò, i testi biblici della Liturgia di questa sera orientano il nostro sguardo verso il nuovo Agnello, che con il sangue liberamente versato sulla Croce ha stabilito una nuova e definitiva Alleanza. Ecco l’Eucaristia, sacramentale presenza della carne immolata e del sangue versato del nuovo Agnello. In essa vengono offerti a tutta l’umanità la salvezza e l’amore.
Come non essere affascinati da questo Mistero? Facciamo nostre le parole di san Tommaso d’Aquino:
“Praestet fides supplementum sensuum defectui – Supplisca la fede al difetto dei sensi”.
Sì, la fede ci conduce allo stupore e all’adorazione!
- È a questo punto che il nostro sguardo si allarga sul terzo elemento del trittico che compone l’odierna liturgia. Lo dobbiamo al racconto dell’evangelista Giovanni, il quale ci presenta l’icona sconvolgente della lavanda dei piedi.
Con quel gesto Gesù ricorda ai discepoli di tutti i tempi che l’Eucaristia chiede di essere testimoniata nel servizio d’amore verso i fratelli.
Abbiamo ascoltato le parole del Maestro divino: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14). È un nuovo stile di vita che discende dal gesto di Gesù: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15).
La lavanda dei piedi si propone come un atto paradigmatico, che nella morte in croce e nella resurrezione di Cristo trova la sua chiave di lettura e la sua massima esplicitazione.
In quest’atto di servizio umile la fede della Chiesa vede l’esito naturale di ogni celebrazione eucaristica. L’autentica partecipazione alla Messa non può non generare l’amore fraterno sia nel singolo credente che nell’intera comunità ecclesiale.
- “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1).
L’Eucarestia costituisce il segno perenne dell’amore di Dio, amore che sostiene il nostro cammino verso la piena comunione con il Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito. È un amore che supera il cuore dell’uomo. Sostando questa sera ad adorare il Santissimo Sacramento, e meditando il mistero dell’Ultima Cena, ci sentiamo immersi nell’oceano d’amore che sgorga dal cuore di Dio.
Facciamo nostro con animo grato l’inno di grazie del popolo dei redenti:
“Genitori Genitoque / laus et iubilatio… – Al Padre e al Figlio / lode e giubilo, / salute, potenza, benedizione: / a Colui che procede da ambedue, / pari gloria e onore sia! Amen!”.
Qualche annotazione storica. I miracoli eucaristici
Quello di Bolsena non è l’unico miracolo eucaristico avvenuto nel corso dei secoli. Ve ne sono diversi. Tra questi, si ricorda quello di Lanciano. Avvenne intorno all’anno 700 nell’ omonima città. Le specie eucaristiche si mutarono in carne e sangue durante una messa, celebrata nella chiesa di San Legonziano da un monaco basiliano che dubitava della presenza di Gesù nell’Eucaristia. Le reliquie del miracolo, oggi conservate nella basilica di San Francesco, sono state sottoposte a indagine scientifica nell’inverno 1970-1971 e nel 1981. Gli esami hanno determinato che l’ostia è costituita da vera carne umana, precisamente da tessuto miocardico, e che il sangue è vero sangue umano di gruppo AB.[58]
La morte di Urbano IV
Il 2 ottobre del 1264 morì Urbano IV. Si trovava in quel momento in un convento di Deruta (Perugia). Fu sepolto a Perugia, nella cattedrale di San Lorenzo. Nel 1935, per esaudire un desiderio del Papa, i suoi resti furono traslati a Troyes (sua città natale) nella basilica di Sant’Urbano. Il suo successore fu Clemente IV.[59]
Il decesso del Pontefice non facilitò un’accentuata diffusione della Festa liturgica del Corpus Domini. Però, tale ricorrenza liturgica fu rispettata nei Paesi Bassi, in Francia, in Germania e nell’Italia Settentrionale (specie nel Veneto). In seguito, nel 1312, il Papa Clemente V[60] sostenne con rinnovata energia l’importanza della Festa liturgica. Confermò la Bolla di Urbano IV e la inserì nelle Costituzioni del Concilio di Vienna (ottobre 1311 -maggio 1312; XV” Ecumenico).[61]
Le posizioni critiche rivolte a Urbano IV
In una fase iniziale, l’istituzione della Festa del Corpus Domini (cit.) trovò anche delle riserve. Emerse, ad esempio, un orientamento di pensiero che sosteneva l’inutilità dell’iniziativa. Si motivava tale posizione con il fatto che ogni giorno sono celebrate messe nella Chiesa Universale. Si aggiungeva, inoltre, che già esisteva la celebrazione del Giovedì Santo nell’ambito del Triduo Pasquale. Proprio in tale ricorrenza tutta la Chiesa ricorda l’istituzione del Sacramento dell’Eucaristia.
Con il tempo, però, queste posizioni critiche si affievolirono alla luce di una puntuale riflessione teologica. Il punto centrale riguardò i benefici spirituali.
1] Nella celebrazione eucaristica quotidiana i fedeli ricevono delle grazie particolari dal Signore per poter essere testimoni del Risorto in ogni ora dell’offertorio quotidiano. L’Eucaristia è così cibo dell’anima.
2] Nella celebrazione del Giovedì Santo la Chiesa medita sull’Evento Pasquale. L’istituzione dell’Eucaristia, in tal modo, è strettamente inserita nella scelta di Gesù di fare la volontà del Padre. Di affrontare l’Ora della Passione e della Morte. Di salvare l’umanità di ogni tempo dal peccato e dalla morte.
3] Nella Festa del Corpus Domini i fedeli di tutto il mondo sono esortati ad adorare Cristo presente nella vita della Chiesa e di ogni persona. In tal senso, contemplare il SS. Sacramento non è atto di timore o di semplice riverenza. Ê, al contrario, un incontro diretto con Colui che è l’Amore assoluto. Ed è, di conseguenza, l’accettazione del fatto che non può esistere un’auto salvezza.
L’orientamento di alcuni storici
Esiste poi un aspetto storico che riguarda gli inni eucaristici collegati alla liturgia del Corpus Domini. Si ricorda al riguardo che le composizioni sono:
1] Lauda Sion Salvatorem (sequenza della Messa del Corpus Domini);
2] Adoro Te devote (preparazione e ringraziamento alla Messa del Corpus Domini);
3] Pange lingua (primi e secondi Vespri);[62]
4] Sacris Solemniis (Mattutino)[63]; dalle ultime due strofe dell’inno è stato ricavato il componimento Panis angelicus;
5] Verbum supernum prodiens (letteralmente: ‘La parola [discendente] dall’alto’). Scritto per l’Ora delle Lodi nell’Ufficio Divino del Corpus Domini. Dalle ultime due strofe è stato ricavato il canto O salutaris hostia (intonato un tempo durante le processioni).
In tale contesto, sono emerse, in alcuni momenti, delle perplessità sull’attribuzione di taluni inni eucaristici a san Tommaso. Ad esempio, le prime testimonianze che riguardano l’Adoro Te devote risalgono a non meno di cinquant’anni dalla morte del teologo domenicano. Su questo punto è intervenuto anche il card. Raniero Cantalamessa[64]. Si riporta qui di seguito il testo:
“Sono stati fatti tentativi di stabilire il testo critico dell’inno in base ai pochi manoscritti esistenti anteriori alla stampa. Le varianti rispetto al testo che conosciamo non sono molte. La principale riguarda proprio i primi due versetti di questa strofa che, secondo Wilmart, all’origine suonavano così: Adoro devote latens veritas /Te qui sub his formis vere latitas, dove “veritas” starebbe per la persona di Cristo e “formis” sarebbe l’equivalente di “figuris”.
Ma a parte il fatto che questa lettura è tutt’altro che sicura[65], c’è un altro motivo che spinge ad attenerci al testo tradizionale. Questo, come altri venerandi inni liturgici latini del passato, appartengono alla collettività dei fedeli che lo hanno cantato per secoli, lo hanno fatto proprio e quasi ricreato, non meno che all’autore che lo ha composto, spesso, del resto, rimasto anonimo. Il testo divulgato non ha meno valore del testo critico ed è con esso infatti che l’inno continua ad essere conosciuto e cantato in tutta la Chiesa”.[66]
Qualche sottolineatura
Le riserve cit. sull’attribuzione di taluni inni eucaristici a san Tommaso possono anche essere rimodulate sulla base di alcuni dati:
– nella mentalità del tempo, nei conventi e nei monasteri, si era soliti tacere su autori di opere anche molto importanti. La regola (obbligatoria per tutti) era quella di mettere al centro solo Dio. A Lui la Gloria. Chi non rispettava tale direttiva peccava gravemente di orgoglio e doveva accettare le penitenze previste per la specifica disobbedienza (in presenza di tutta la comunità);
– san Tommaso doveva, prima di tutto, conoscere i precedenti inni eucaristici per non vanificare la bellezza dei loro apporti. Nel pensiero del tempo ciò costituiva un “continuum”. In altri termini, ogni iniziativa spirituale non doveva necessariamente esprimere “originalità” o “novità”, ma era sollecitata a seguire le testimonianze di ogni tempo, e a inserirsi tra le tante voci che nei diversi periodi storici avevano innalzato inni di lode e di adorazione al Signore;
– la prassi del tempo affidava in genere ai Domenicani quanto riguardava la teologia dogmatica. Per il loro stesso carisma, questi religiosi erano chiamati dai Pontefici a scrivere testi di natura dogmatica, a comporre inni liturgici di natura dogmatica, a controllare i lavori di quanti avevano preparato varie composizioni, a ricercare quegli autori che in ambito dogmatico avevano espresso posizioni eterodosse;
– a Orvieto, Urbano IV aveva una Corte Pontificia. Il 24 dicembre 1261 creò sette cardinali, che furono portati a quattordici nel maggio dell’anno successivo. Tra questi, oltre al futuro Onorio IV (Giacomo Savelli), il Papa nominò vari francesi, di cui tre erano consiglieri del re di Francia.[67] Non vanno inoltre dimenticati Enrico Bartolomei da Susa, arcivescovo di Embrun[68], e il nipote del Papa, Anchero Pantaléon.
Diversi consiglieri erano poi necessari per affrontare i problemi politici del tempo, altri si occupavano dell’area amministrativa. Operavano inoltre i canonisti, i biblisti, i moralisti e gli specialisti in dogmatica. Nel periodo in cui venne emanata la Bolla Transiturus, il Papa aveva disponibile proprio un domenicano esperto in dogmatica: san Tommaso d’Aquino;
– il Papa sollecitò la preparazione dell’Ufficio delle Ore, e la stesura dei testi per la Messa del Corpus Domini. Per un docente in dogmatica (e san Tommaso lo era) il compito non era semplice. Egli poteva anche chiedere degli aiuti ai confratelli, ma aveva comunque la responsabilità in primis di garantire l’omogeneità dei testi, l’ineccepibile dottrina eucaristica, e la valorizzazione del lavoro in ambito comunitario;
– se si esaminano i testi dell’Ufficio delle Ore, e quelli per la Messa del Corpus Domini, si individuano facilmente dei passaggi che si ritrovano poi nell’insegnamento di Tommaso d’Aquino. Si pensi, ad esempio, all’inno Lauda Sion Salvatorem. Le singole strofe seguono da vicino la dottrina sull’Eucaristia esposta da Tommaso nella terza parte della Summa Theologiae.[69] Colpisce inoltre il fatto che nel suo lavoro il santo frate non intese produrre solo dei concetti astratti (a differenza di altri autori), ma volle trasmettere anche il suo sentimento, e la sua passione di anima innamorata del Sacramento. Inoltre, rimane evidente la capacità di sintesi (es. “Nobis datus, nobis natus (…)”;
– nel XII secolo era già avvenuta una riforma musicale in ambito cistercense. Tale iniziativa operò una revisione di melodie ritenute troppo fiorite. Antichi codici furono distrutti. Pure nel XIII secolo (periodo di san Tommaso) non mancò una viva attenzione di membri di Ordini religiosi al canto gregoriano. In tale contesto, non sorprende il fatto che diversi autori cercarono di seguire l’insegnamento di san Tommaso. Si sforzarono di acquisire la sua metodologia. E tentarono di far propria la sua capacità di unire in modo armonico dottrina e sentimento.
La ricerca scientifica
Nel 1994 Johanna C. Cullen, ricercatrice della Georgetown University, pubblicò un articolo che destò sorpresa. Sulla rivista dell’ American Society of Microbiology scrisse che il “presunto” miracolo di Bolsena poteva avere una spiegazione scientifica.[70] In particolare, la ricercatrice dimostrò di essere riuscita a riprodurre il “miracolo” in laboratorio. La studiosa, aveva fatto attaccare delle ostie da un batterio (Serratia marcescens).[71]
Il batterio cit., in periodi di caldo e in luoghi umidi, produce su pane e focacce un abbondante pigmento rosso vivo chiamato prodigiosina. Quest’ultima, ha una consistenza leggermente viscosa, facilmente scambiabile per sangue fresco.[72]
Nel 1998 Luigi Garlaschelli[73], ricercatore del dipartimento di chimica organica dell’Università di Pavia, confermò la validità scientifica dell’esperimento della Cullen. Egli utilizzò una fettina di pane di forma circolare.[74]
Nel 2000, anche J.W. Bennett e R. Bentley, ricercatori di biologia molecolare alla Tulane University di New Orleans e di scienze biologiche all’università di Pittsburgh, si allinearono sulle posizioni dei biologi cit..[75]
Le analisi cit. hanno certamente una loro valenza e i metodi adottati sono corretti. Le conclusioni, riguardo al miracolo di Bolsena, potrebbero però essere rimodulate alla luce di ulteriori elementi:
1] il sangue fuoriuscito dall’ostia non rimase circoscritto a un punto. Al contrario, si estese e cadde pure per terra. Lo attestano più reperti: l’ostia, il corporale e i purificatoi (custoditi nel duomo di Orvieto); quattro lastre di marmo macchiate di sangue (conservate a Bolsena), una quinta lastra (donata alla parrocchia di Porchiano del Monte[76], 1574);
2] il sangue cit. fuoriuscì solo da un’unica ostia, le altre particole non presentarono segni particolari; inoltre, con il trascorrere del tempo, la cronaca non ha mai fatto rif. a particole macchiate di sangue;
3] il nome di specie marcescens, è dovuto al fatto che il batterio, dopo aver prodotto un pigmento rosso intenso (la prodigiosina), marcisce in modo rapido in una massa fluida mucillaginosa. Al contrario, i segni del sangue rimangono visibili a distanza di secoli.
Occorre anche aggiungere un ulteriore dato. Tra il 3 febbraio e il 27 marzo del 2015, il corporale del miracolo di Bolsena è stato oggetto di un intervento di natura conservativa. L’operazione è stata preceduta da un’analisi della documentazione fotografica ottenuta in luce normale e in fluorescenza
ultravioletta (UV). Nella relazione tecnica è stato evidenziato il fatto che: “ogni sezione restituisce depositi biologici costituiti da sangue, scisso in plasma e siero, riprodotti per trasmissione in modo speculare e simmetrico nel rispetto delle pieghe originarie”.
La presenza accertata di sangue e siero relativizza di molto tutto lo spazio dato alla possibile spiegazione del batterio serratia marcescens, dal momento che lo stesso nulla ha da dire sul perché – in questo caso concreto – sia dimostrata la presenza di sangue. Al riguardo, un pannello esplicativo all’interno del duomo di Orvieto riporta: “Studi scientifici attestano che la morte di Gesù è avvenuta per infarto e non per trafiggimento e che il sangue di un uomo morto si divide in siero e plasma. Il Vangelo di Giovanni (19,34) conferma che dal costato trafitto uscì sangue (plasma) e acqua (siero)”.
Alcune idee di sintesi. Pange lingua e religiosità popolare
L’attenzione che in questo saggio è stata rivolta all’inno Pange lingua è da collocare, prima di tutto, in un contesto preciso. Questo, è caratterizzato: dall’adorazione, dalla contemplazione del Mistero della Redenzione, dalla dimensione ecclesiale. San Tommaso, quindi, non si estranea dalle precedenti composizioni, e non intende presentare delle “novità” teologiche. Il suo obiettivo è quello di sostenere un’unica lode rivolta al vero Salvator mundi, e di motivarla.
Il suo contributo teologico verrà valorizzato dalla corrente del tomismo[77] ma anche da altre Scuole di pensiero.
Unitamente a ciò, la dimensione ecclesiale – evidenziata continuamente negli scritti di san Tommaso – assumerà sempre più nel corso della storia della Chiesa un’impronta profonda e mai modificata.
Il Pange lingua, in particolare, troverà una estesa accoglienza in molteplici riti liturgici (anche nelle Quarantore), ma saranno soprattutto le ultime due strofe dell’inno (Tantum ergo) a segnare in modo accentuato i cuori dei fedeli. Prima del Vaticano II, nelle chiese, non veniva celebrata una messa serale. Si svolgeva la benedizione eucaristica.
Ancora oggi, comunque, pur con nuove direttive liturgiche, sono previste le benedizioni eucaristiche.
In tali momenti, il sacerdote apre il tabernacolo. Inserisce un’ostia consacrata in un ostensorio poggiato al centro dell’altare. Poi, il presbitero torna a inginocchiarsi e intona il Tantum ergo.
Dopo la benedizione eucaristica, terminata la benedizione, il celebrante pone l’ostensorio nuovamente sulla mensa e, solitamente, si recita la preghiera del Dio sia Benedetto, durante la quale il prete procede alla reposizione del Santissimo Sacramento nel tabernacolo.
Quanto fin qui annotato, facilita due riflessioni. 1] La prima tiene conto della sensibilità di ogni assemblea verso l’inno Tantum ergo. Oltre a una spontanea posizione in ginocchio, i fedeli cantano. Non si verifica in questo caso un fatto che si ripete di frequente: il coro canta e l’assemblea rimane ad ascoltare. Nel Tantum ergo cantano tutti.
2] La seconda riflessione è legata al rapporto esistente tra la benedizione eucaristica e la preghiera del Dio sia benedetto. Questo testo liturgico venne scritto per riparare con un’orazione corale alle bestemmie. Vi si trovano pure queste esclamazioni: “(…) Benedetto il Suo sacratissimo Cuore; benedetto il Suo preziosissimo Sangue; “Benedetto Gesù nel Santissimo Sacramento dell’altare (…)”. Tale fatto non è marginale perché implica anche l’impegno a operare in modo che venga sempre più sbiadita l’abitudine in talune persone a bestemmiare.
Al riguardo si ricorda l’origine della preghiera cit..
Nel 1843, il Signore Gesù rivelò alla Serva di Dio, Suor Marie Saint-Pierre[78], carmelitana di Tours, l’Apostola della Riparazione:
“Il mio nome è da tutti bestemmiato: gli stessi fanciulli bestemmiano e l’orrìbile peccato ferisce apertamente il mio Cuore. Il peccatore con la bestemmia maledice Dio, lo sfida apertamente, annienta la Redenzione, pronuncia da sé la propria condanna. La bestemmia è una freccia avvelenata che mi penetra nel Cuore, Io ti darò la mia freccia d’oro per cicatrizzarmi la ferita dei peccatori, ed è questa:
Sempre sìa lodato, benedetto, amato, adorato, glorificato, il Santissimo, il Sacratissimo, l’adoratissimo eppure incomprensibile Nome di Dio in cielo, in terra o negli inferi, da tutte le creature uscite dalle mani di Dio. Per il Sacro Cuore il nostro Signore Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento dell’altare. Amen.
Ogni volta, che ripeterai questa formula ferirai il mio Cuore d’amore. Tu non puoi comprendere la malizia e l’orrore della bestemmia. Se la mia Giustizia non fosse trattenuta dalla Misericordia, schiaccerebbe il colpevole verso il quale le stesse creature inanimate si vendicherebbero, ma ìo ho l’eternità per punirvi! Oh, se sapessi quale grado di gloria ti darà il Cielo dicendo una volta sola: O ammirabile Nome di Dio! in spirito di riparazione per le bestemmie!”.
Alcune indicazioni bibliografiche
Alle fonti del calendario liturgico. Gli inni eucaristici di san Tommaso, in: ‘Vita e Pensiero’, anno XLIII, n. 3, marzo 1960, p. 147ss.. R. Cantalamessa, “Questo è il mio Corpo”. L’eucaristia alla luce dell’ «Adoro te devote» e dell’«Ave verum», San Paolo, Cinisello Balsamo 2005. S. Cerrini, Urbano IV, in: ‘Enciclopedia dei Papi’, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Roma 2000. A.P. Ernetti, Storia del canto gregoriano, Casa Musicale Eco, Milano 2010. E. Franceschini, Origine e stile della Bolla Transiturus, in: ‘Aevum’, anno 39, fasc. 3-4, maggio agosto 1965, pp. 218-243, Vita e Pensiero, Milano. P.L. Guiducci, L’identità affermata. Storia della Chiesa medievale, LAS, Roma 2010. Z. Hledíková, Pietro di Praga, Cancelliere del Re e Canonico di S. Vito, Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano XI-LXIV (2005-2008); Iubilate Deo. Cantus gregoriani faciliores, Editio altera, a cura della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, LEV, Città del Vaticano 2018. A. Lazzarini, Il miracolo di Bolsena. Testimonianze e documenti dei secc. XIII e XIV, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1952. S. Mattei, Pange lingua, gloriosi, in: P. Paschini (a cura), Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, Città del Vaticano, 12 voll., 1948–1954, vol. IX, 1952, c. 678-679. D.P. Nau, Le mystère du Corps et du Sang du Seigneur. La messe d’après saint Thomas d’Aquin, son rite d’après l’histoire, Éd. Solesmes, Solesmes 1976. J.V. Polc, Il Miracolo di Bolsena e l’origine della festa del Corpus Domini, in: P. Tamburini (a cura di), ‘Bolsena: il miracolo eucaristico’, Atti del convegno (Bolsena, 4 giugno 2004), Città di Bolsena Editrice, Bolsena 2005, p. 39ss.. A. Porfiri, “Cantiamo il tuo nome”. Commento a inni eucaristici della tradizione cristiana, Centro Eucaristico Editore, Ponteranica (BG) 2007. J. Ratzinger, Il Dio vicino. L’eucaristia, cuore della vita cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008. Redazione, Inni eucaristici: hanno fatto storia e “cattolicità”, in: ‘La Libertà’, Settimanale cattolico reggiano, 22, 6 giugno 2021. G. Semeria, Gli inni della Chiesa. IV. Gli inni della Eucarestia, Stabilimento Pontificio d’Arti Grafiche Sacre A. Bertarelli, Milano 1903. J. A. Weisheipl, Tommaso d’Aquino. Vita, pensiero, opere, Jaca Book, Milano 2016.
Ringraziamenti
Dott. Edoardo Tincani, Direttore La Libertà, Settimanale della Diocesi di Reggio-Emilia-Guastalla (Reggio Emilia).
[1] San Tommaso d’Aquino OP nacque a Roccasecca (1225) e morì presso l’abbazia di Fossanova (1274). Teologo. Filosofo. Esponente della Scolastica. Sepolto a Tolosa. Canonizzato nel 1323. È stato proclamato Dottore della Chiesa (1567). Tra le numerosissime pubblicazioni cf anche: I. Biffi, La teologia e un teologo. San Tommaso d’Aquino, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1984. P. Porro, Tommaso D’Aquino. Un profilo storico-filosofico, Carocci, Roma 2012. R. Spiazzi OP, San Tommaso d’Aquino: biografia documentata, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1997.
[2] Urbano IV (nato Jacques Pantaléon; 1195 ca -1264). Era cappellano di Innocenzo IV che lo nominò vescovo di Verdun. In seguito, Alessandro IV lo nominò (1255) patriarca latino di Gerusalemme. La sorella Sibylle fu badessa di Montreuil-les-Dame. Il pontificato di Urbano IV durò dal 1261 alla morte. S. Cerrini, Urbano IV, in: ‘Enciclopedia dei Papi’, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Roma 2000.
[3] Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato (Duplavilis, odierna Valdobbiadene, 530 – Poitiers, 607; Santo). Vescovo. Autore di poesie in lingua latina. Biografo di santi.
[4] Canta, o lingua, il combattimento della gloriosa lotta.
[5] Eucaristia significa azione di grazie. Tale parola rimanda all’iniziativa di Gesù nell’Ultima Cena: “Poi, preso un pane, rese grazie [pronunciò una preghiera eucaristica e di lode a Dio Padre], lo spezzò e lo diede loro dicendo…” (Lc 22, 19; cf 1 Cor 11, 24).
[6] Cf anche: J.V. Polc, Il miracolo di Bolsena e Pietro da Praga. Un’ipotesi, in: ‘Rivista di storia della chiesa in Italia, 45 (1991) pp. 437-449.
[7] Si tratta della parte più antica del complesso di Santa Cristina (Bolsena). Venne ricavata con un taglio della rupe tufacea. Si strutturò così un primitivo oratorio intorno al sepolcro della martire (uccisa intorno al 304 d.C.). L’ambiente è poco più di una grotta.
[8] L’evento fu rappresentato da Raffaello nel 1512 nell’affresco della ‘Messa di Bolsena’ (Stanza di Eliodoro in Vaticano).
[9] Urbano IV non entrò mai a Roma ma visse tra Viterbo e Orvieto.
[10] Nel codice 528 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, che contiene una narrazione trecentesca del miracolo, si fa riferimento al vescovo Francesco Monaldeschi, con evidente anacronismo. Francesco, infatti, venne eletto nel 1279, e fu il fondatore del Duomo di Orvieto.
[11] Ugolino di Prete Ilario (1330ca-1404).
[12] Ugolino da Siena (1280ca-1330/1335).
[13] A. Lazzarini, Il miracolo di Bolsena. Testimonianze e documenti dei secc. XIII e XIV, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1952.
[14] Pietro de’ Natali (nato nel 1330ca e deceduto prima dell’8 marzo 1406). Vescovo. Umanista.
[15] Gregorio XI (nato Pierre Roger de Beaufort; 1330-1378). Fu pontefice dal 1370 alla morte.
[16] Le sue Cronache vennero composte tra il 1440 e il 1459, e diciassette volte stampate tra il 1484 (a Norimberga) e il 1586 (Lione).
[17] Sisto IV (1414-1484). Il suo pontificato durò dal 1471 alla morte.
[18] Gregorio XIII ((1502-1585). Il suo pontificato durò dal 1572 alla morte.
[19] Pio II (1405-1464). Il suo pontificato durò dal 1458 alla morte.
[20] Robert di Thourotte (morto nel 1246) fu vescovo di Langres dal 1232 al 1240, e vescovo di Liegi dal 1240 al 1246.
[21] Berengario di Tours (998-1088). Ritrattò poi le sue tesi sull’Eucaristia nel 1080 (Sinodo di Bordeaux).
[22] Gregorio VII (1015ca-1085). Il suo pontificato durò dal 1073 alla morte.
[23] Innocenzo III (1161-1216). Il suo pontificato durò dal 1198 alla morte.
[24] Giuliana da Mont-Cornillon (1192ca-1258; Santa). Mistica belga. Cf anche: Chanoine J. Cottiaux, Sainte Julienne de Cornillon, Carmel de Cornillon – sanctuaire de Sainte-Julienne, Liège 1991.
[25] Eva di Cornillon (1205ca-1265ca; Santa).
[26] Leone XIII (1810-1903). Il suo pontificato durò dal 1878 alla morte.
[27] Ugo di San Caro (deceduto a Orvieto nel 1263).
[28] Compte rendu de Fête-Dieu (1246-1996), 1. Actes du colloque de Liège, septembre 1996, Éd. A. Haquin. Compte rendu de Fête-Dieu (1246-1996), 2. Vie de sainte Julienne de Cornillon, Éd. Jean-Pierre Delville, Louvain-la-Neuve 1999.
[29] Manfredi di Hohenstaufen, o Manfredi di Svevia o Manfredi di Sicilia (1232-1266). Figlio naturale di Federico II. Erede del regno di Sicilia.
[30] K. Hampe, Urban IV und Manfred: 1261-1264, (Heidelberger Abhandlungen zur mittleren und neueren Geschichte, 11), Carl Winter’s Universitätsbuchhandlung, Heidelberg 1905.
[31] Transiturus de hoc mundo, in: ‘Bullarium Romanum’, III, P. I (Roma 1740), pp. 414b-416b. Non c’è la data di promulgazione. La si trova in: A. Potthast, Reg. Pont. Roman. (Berlino 1875), n. 18998, II, p. 1538. Il testo completo compare nel Corpus iuris canonici, ed. E. Friedberg (Leipzig 1879-81), II, col. 1174-77.
[32] Riferimento a I Cor 11, 23-27.
[33] La memoria è solo il ricordo di un evento trascorso. Il memoriale è la ripresentazione dell’evento di cui si fa memoria. È rendere presente quell’evento. È un attualizzarlo, in modo tale che lo si rende contemporaneo a noi e noi vi partecipiamo direttamente, nello stesso modo in cui ne furono resi partecipi i primi che lo sperimentarono.
[34] Cf anche dalle Opere di san Tommaso d’Aquino: Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4.
[35] Tutta l’impostazione di questo passo fa un rif. implicito al miracolo di Bolsena.
[36] “Essendo l’Eucaristia il sacramento della Passione di nostro Signore, contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto tutto ciò che è effetto della Passione di nostro Signore, è anche effetto di questo sacramento, non essendo altro che l’applicazione in noi della Passione del Signore “(Tommaso d’Aquino, In Ioannem, c. 6, lect. 6, n. 963).
[37] Cf Salmo 8,7.
[38] Cf Fil 2,5-11.
[39] Cf collegamento con il Pange lingua: “se dat suis manibus”.
[40] Cf anche Sal 77,25; Sap 16,20; Gv 6,31.49.
[41] San Tommaso d’Aquino afferma che “l’effetto proprio dell’eucaristia è la trasformazione dell’uomo in Dio”: “Effectus proprius eucharistiae est transformatio hominis in Deum” (San Tommaso, IV Sent., 12, 12, 1, ad 1). Sempre nelle Sentenze dice che “in virtù di questo sacramento avviene una certa trasformazione dell’uomo in Cristo per via della carità: e questo è l’effetto proprio del sacramento” (IV Sent., 12, 12, 2).
[42] Rif. agli inni eucaristici.
[43] Su questo punto cf anche: I. Biffi, Eucaristia e poesia in Tommaso d’Aquino, in ‘L’Osservatore Romano’, 22 maggio 2008.
[44] In questa parte della Bolla il Pontefice risponde a chi riteneva non necessaria l’istituzione della Festa del Corpus Domini considerando le celebrazioni quotidiane delle Messe, e la celebrazione del Giovedì Santo.
[45] Rif. esplicito a quanti sostenevano la non reale presenza di Cristo nell’Eucaristia.
[46] Riferimento a quanto accaduto nella diocesi di Liegi (cit.).
[47] Cioè: il popolo accorra ad adorare Cristo presente nell’Eucaristia.
[48] Rif. agli inni eucaristici.
[49] Esplicito rif. ai testi preparati da san Tommaso d’Aquino.
[50] A. Cantini, San Tommaso d’Aquino a Orvieto. Profili laici e spirituali del Dottore Angelico all’ombra della città del tufo, LibroSì Edizioni, Orvieto 2014.
[51] Tolomeo da Lucca (1236-1327). Religioso domenicano. Teologo. Vescovo. Discepolo di san Tommaso d’Aquino.
[52] Tolomeo da Lucca, Historia Ecclesiastica Nova, l. 22, cap. 24, col. 1154.
[53] Guglielmo di Tocco (nato tra il 1235 e il 1250; è probabile che morì nell’agosto del 1323).
[54] Guglielmo di Tocco, Hystoria, cap. 17 (Fontes, p. 88).
[55] Cf anche: A. Campodonico, Il carattere immediato della presenza di Dio nel mondo secondo Tommaso d’Aquino, in: ‘Rivista di Filosofia Neo-Scolastica’, vol. 76, No 2 (aprile-giugno 1984), pp. 245-268, Vita e Pensiero, Milano.
[56] Si veda al riguardo san Paolo: “(…) e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore… (Fil. 2,10).
[57] Giovanni Paolo II (1978-2005; Santo). Il suo pontificato durò dal 1978 alla morte.
[58] Cf anche: O. Linoli, Ricerche istologiche, immunologiche e biochimiche sulla carne e sul sangue del Miracolo Eucaristico di Lanciano, in: ‘Quaderni Sclavo di Diagnostica’, 7, n° 3, Grafiche Meini, Siena 1971, pp. 661-674. F. Serafini, Un cardiologo visita Gesù. I miracoli eucaristici alla prova della scienza, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2018.
[59] Clemente IV (nato Guy Le Gros Foulquois; 1190/1200-1268). Il suo pontificato durò dal 1265 alla morte. Non fu nepotista e combatté la corruzione. Trasferì la Corte Papale a Viterbo.
[60] Clemente V (nato Bertrand de Got; 1264-1314). Il suo pontificato durò dal 1305 alla morte. Soppresse l’Ordine dei Templari. Trasferì la Santa Sede in Francia.
[61] Queste Costituzioni furono poi pubblicate nel 1317 da Giovanni XXII.
[62] Il Pange lingua si canta nelle processioni del Giovedì Santo. L’inno termina con il Tantum ergo (le cui due strofe accompagnano da secoli la benedizione con il Santissimo Sacramento).
[63] Molto simile agli antichi inni ambrosiani.
[64] P. Raniero Cantalamessa (nato nel 1934). Teologo. Predicatore italiano dell’Ordine dei frati minori cappuccini. Dal 23 giugno 1980 predicatore della Casa Pontificia. Cardinale.
[65] L’espressione “latens veritas” ricorre in Isidoro di siviglia, Sent. III, col. 688, l. 22, ma non è riferita a Cristo. In favore di “latens Deitas” sta il parallelismo con “latens humanitas” della terza strofa e anche la possibile allusione a Is 45,15: “vere tu es Deus absconditus” (nota di p. Raniero Cantalamessa).
[66] R. Cantalamessa, Contemplando Te tutto vien meno. Riflessioni sull’Eucaristia di padre Raniero Cantalamessa, Prima Predica di Avvento ispirata all’inno ‘Adoro te devote’. In: ‘Zenit’ (sito on line), 3 dicembre 2004.
[67] L’arcivescovo di Narbonne, Guy Foucois (futuro Clemente IV); Raoul Grosparmy, arcidiacono di Nicosia, guardasigilli del re durante la crociata e vescovo di Evreux; Simon de Brion, canonico di Tours, cancelliere del re di Francia (futuro Martino IV).
[68] Autore di una Summa di diritto canonico,
[69] Somma teologica (Summa theologiae). Opera di Tommaso d’Aquino composta fra 1265 e 1273. È divisa in tre parti (la seconda suddivisa a sua volta in due parti) e contiene l’esposizione della teologia destinata a chi intraprende lo studio della «sacra doctrina». La trattazione è svolta mediante il metodo della quaestio. L’edizione in italiano è pubblica da ESD, Bologna.
[70] J. C. Cullen, The Miracle of Bolsena, in: ‘ASM News,’ vol. 60, 1994, pp. 187-191..
[71] È un batterio Gram negativo della famiglia degli enterobatteri.
[72] Su questo punto: M. Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Edizioni Dedalo, Bari 2005, p. 8.
[73] Luigi Garlaschelli (nato nel 1949). Da diversi anni si interessa di fenomeni paranormali e pseudoscienza.
[74] L. Garlaschelli, Amido ed emoglobina: il miracolo di Bolsena, in: ‘La Chimica e l’Industria’, vol. 1201, 1998, p. 80. .
[75] J.W. Bennett, R. Bentley, Seeing red: The story of prodigiosin, in: ‘Advances in Applied Microbiology’, vol. 47, 2000, pp.1-32.
[76] È una frazione del comune di Amelia, in provincia di Terni.
[77] Esponenti del tomismo furono anche: il domenicano Reginaldo di Piperno (deceduto nel 1290), il domenicano Tolomeo da Lucca (cit.), il domenicano Giovanni di Napoli (deceduto dopo il 1336), il domenicano francese Jean Capreolus (deceduto nel 1444), il domenicano Antonino di Firenze (cit.) e, nel XIX secolo, il gesuita Serafino Sordi (1793-1865). Tra le molte pubblicazioni sull’argomento cf anche: AA. VV., Le Ragioni del Tomismo, Ares, Milano 1979.
[78] Suor Marie Saint-Pierre (1816-1848; Serva di Dio). Religiosa carmelitana. Monastero di Tours (Francia). Cf anche il sito:
http://suoreveroniche.altervista.org/pagina-599477.html.